“Fermate e insultate da un carabiniere perché ci baciavamo sulla bocca”

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ROMA — Un bacio dato con l’ingenuità  e la naturalezza di chi sa che non sta facendo nulla di sbagliato. Ma che, per un carabiniere, è diventato il pretesto per insultare, fermare e identificare due ragazze romane.
Le protagoniste, loro malgrado, di un umiliante attacco omofobo si chiamano Giordana V. e Irene. Amiche che si incontrano, lo scorso 19 dicembre, poco
dopo le 23, per un saluto, davanti ad una fermata della ferrovia Roma-Lido, stazione di Acilia, alla periferia della capitale. «Non ci vedevamo da un po’ di tempo», racconta Giordana, 22 anni, studentessa- lavoratrice. Parrucchiera di giorno, al quartiere romano della Garbatella, studentessa dopo il lavoro, in una scuola serale.
Lesbica dichiarata, ha già  dovuto imparare a fare i conti, in strada, con gli sguardi di riprovazione e anche le prese in giro. «Non ci faccio più caso, capita, ma certo non tutte le persone sono omofobe. Io continuerò a essere me stessa», dice con l’ottimismo di chi è convinto che prima o poi le persone omosessuali saranno libere di vivere il loro orientamento sessuale alla luce del sole, senza dover temere aggressioni e insulti. «Avevo baciato Irene sulle labbra, per salutarla. Un bacio a stampo, nulla di più. Capita spesso, con le mie amiche — dice, quasi a volersi giustificare — Per questo mi ha veramente stupito sentirmi chiamare e insultare, in lontananza, da un carabiniere».
In divisa, di vigilanza nella stazione ferroviaria, insieme a tre militari dell’esercito (anche loro in servizio) e una guardia giurata. «Fate schifo, andatevene via», avrebbe urlato l’uomo dell’Arma, prendendo di mira le ragazze. E insistendo con le offese: «Non siete normali, dovete nascondervi ». Giordana sa di essere nel giusto, e gli risponde, con educazione ma in maniera ferma. «Che c’è che non va?». La risposta del carabiniere, perfettamente a suo agio nel ruolo del bullo omofobo, le spiazza: «Due ragazze non si devono baciare, non è normale. Queste cose dovete farle di nascosto». Ma non basta. «Dopo ci ha chiesto anche i documenti, per identificarci — continua Giordana — Poi si è allontanato, dicendoci di rimanere al nostro posto». Venti minuti, il tempo di trascrivere le loro generalità . «È tornato da noi e, forse per spaventarmi, ha detto che sapeva dove abitavo».
L’amica, Irene, inizia ad avere paura. Non Giordana, decisa ad andare fino in fondo a questa storia di abuso di potere. «Mi reco nella più vicina stazione dei carabinieri, ma era chiusa. Al citofono dicono che non possono darmi il nome del collega presente in stazione ». Giordana si rivolge allora al Gay Center e a DìGayProject, che le consigliano di sporgere denuncia.
«Sono andata il giorno dopo in un commissariato e ho trovato due persone disponibilissime. Ho raccontato tutto, sottolineando anche il fatto che tutta la scena era stata ripresa dalle telecamere di sorveglianza della stazione », spiega. «È la prima volta che mi succede qualcosa di così umiliante. Mai mi sarei aspettata di venire insultata da una persona in divisa. Da chi, in teoria, è là  per difenderci».
«La grave ignoranza omofobica di un agente rischia di screditare l’immagine di tanti colleghi impegnati ogni giorno nella pubblica sicurezza — attacca Imma Battaglia, presidente di DìGay-Project — Chiederemo un incontro con i responsabili della sicurezza, in quella zona, per spiegare loro che un bacio è solo un atto d’amore». «Il caso non ci meraviglia — dice Fabrizio Marrazzo, del Gay Center — perché alla nostra linea di assistenza telefonica, la Gay Help Line, riceviamo anche chiamate di poliziotti e carabinieri vittime a loro volta di omofobia. Spesso hanno paura di denunciare i casi, perché temono le ritorsioni dei colleghi. Bisogna puntare sulla formazione delle forze dell’ordine, anche in chiave anti-omofobia: i corsi già  ci sono, ma speriamo che vengano incrementati».
Nessun commento ufficiale dai carabinieri, anche se appare molto probabile l’apertura di un’indagine interna, per accertare le responsabilità  del militare.


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