Il caso Italia agita il Ppe Oggi la «sfida» con Merkel

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BRUXELLES — Silvio Berlusconi è atteso oggi al vertice dei leader del Partito popolare europeo: possibile faccia a faccia con Angela Merkel, tensione a mille. Lui si porta dietro a Bruxelles l’etichetta che gli ha appena affibbiato il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schà¤uble: «Tutti sanno che sotto Monti l’Italia ha fatto grandi progressi, e questi progressi non li abbiamo visti sotto il suo predecessore». Cioè appunto Berlusconi. Per questo, e in vista dell’incontro o scontro con la cancelliera (e forse con Mario Monti, stando a certe voci) dal Ppe è partito per Palazzo Grazioli un messaggio in codice: in questa occasione, e poi nella campagna elettorale, evitare per favore attacchi alla Germania, all’Europa, all’euro. Non è proprio un ultimatum, ma qualcuno vi legge un sottinteso: «Sennò fatti da parte». All’ora di cena, arriva da Roma la prima risposta, e sembra il proverbiale Tir contromano: presentando l’ultimo libro di Bruno Vespa, Berlusconi spiega che «l’euro non è una moneta vera», che «la Germania guadagna a spese degli altri Stati», che il presidente Ue Herman Van Rompuy è «un protagonista oscuro» e annuncia che illustrerà  ai popolari europei come la magistratura italiana sia «il cancro della democrazia». Fa capire che forse non si candiderà . Ma a Bruxelles, nelle file turbolente del Ppe, oggi hanno già  troppo cui pensare.
Il partito è spaccato, nonostante tutti i dinieghi diplomatici. Si parla già  di una nascente maggioranza pro-Monti. In 3 eurodeputati su 25, l’altro ieri, hanno chiesto le dimissioni di Mario Mauro, il capogruppo Pdl, che aveva definito un grave errore l’attacco del Cavaliere al governo. E c’è chi attizza il fuoco da fuori: «Che cosa aspettate a espellere Berlusconi?» butta lì il leader liberaldemocratico Guy Verhofstad. Ma è «pretestuoso», assicura il vicepresidente della Commissione Europea Antonio Tajani, «contrapporre il Pdl e il suo leader alla Ue, lui non è mai stato anti-europeista».
Nel partito, soprattutto nella componente italiana del Pdl, qualcuno evoca Freud: «Si vuole uccidere il padre, il vecchio padre?». Psicodramma un po’ esagerato, ma qui e là  l’angoscia si sente davvero. «C’è uno sbandamento forte nel Pdl — ammette Roberta Angelilli, discendenze An, vicepresidente dell’Europarlamento — a cominciare dalla lenta agonia delle nostre mancate primarie. Ho rispetto per Berlusconi, non voglio demonizzare nessuno: ma oggi gli chiederei di fare un passo indietro. Attenzione, qui Mauro non è un uomo solo. Al contrario».
Lui, Mauro, ha l’aria stanca: non parla con Berlusconi da giorni, ma «sente la sua longa manus», chiosa chi gli sta vicino. Il ricordo dell’altro ieri è ben vivo: «Ci voleva qualcuno che battesse il pugno — afferma Mauro — e che dicesse le cose chiare. Se ora è necessario che io paghi, pagherò. Non sono più buono, o più morale, di Berlusconi. Però il vero problema che ho posto non è il suo passo indietro, ma quel passo avanti di una classe dirigente che non c’è stato. Se uno poi mi dice la linea definitiva del mio partito, gli do un premio».
Risponde Alfredo Pallone, radici laico-socialiste, uno dei Ppe più berlusconiani: «Ma insomma, partecipare a un dibattito con le proprie idee, vuol dire per forza essere anti-europeisti?». Le dimissioni del capogruppo, non le chiede: «Ma il mio amico Mauro è stato un po’ sprovveduto quando ha convocato quella conferenza stampa senza riunire il gruppo. Comunque, in generale, ci vorrebbe meno ipocrisia: se c’è qualcuno che vuol andar via, è giusto che lo dica e faccia la sua scelta con dignità ». Invece Licia Ronzulli, berlusconiana della primissima ora che adesso chiama il suo capogruppo «signor Mauro», gli rimprovera di non aver preso abbastanza le distanze da Martin Schulz, il presidente dell’Europarlamento, quando questi ha attaccato il Cavaliere: «Se poi Mauro non si sente più sereno e riflessivo nel suo ruolo… Ma io mi auguro sempre che il nostro partito rimanga unito, come l’Italia».
Quanto a Monti, resta la tentazione, l’ombra nascosta che nessuno nomina. «Da mesi affermo che ci vuole uno spirito di coalizione, di riconciliazione nazionale — dice Mauro — e certi hanno un physique du rà´le diverso… Ora sarebbe giusto che il mondo alternativo alla sinistra identificasse un candidato alla premiership in grado di farci stare tutti insieme».
Il nome non si chiede, altrimenti salta fuori di nuovo il professor Freud.


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