Il ministro avverte i magistrati

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TARANTO. Il decreto «salva-Ilva» firmato lunedì dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha già  registrato i primi effetti. A cominciare dal nuovo attacco alla magistratura tarantina da parte del ministro dell’Ambiente Corrado Clini: «Mi interessa far ripartire l’azione di risanamento e mi auguro che nessuno si opponga a questo obiettivo, sempre più urgente». A domanda su un’eventuale azione della magistratura, ha dichiarato: «Sto alla legge ed è quella pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale che deve essere rispettata da tutti. Se qualcuno non vuole rispettarla, non è questione di cui devo occuparmi io». Un monito alle toghe che suona sinistro. Ma è ovviamente l’Ilva la prima a beneficiare degli effetti del nuovo decreto. L’azienda nella giornata di ieri ha depositato due nuove istanze presso la cancelleria del tribunale tarantino. Nella prima rinuncia all’udienza del Riesame, in programma per domani, che si dovrà  pronunciare sui sigilli imposti ai prodotti finiti e pronti per la vendita, sequestrati dalla Procura il 26 novembre, perché frutto di «attività  illecita», in quanto prodotti negli ultimi quattro mesi, nonostante il sequestro dell’area a caldo e il divieto alla facoltà  d’uso degli stessi per l’attività  produttiva. Nella seconda, l’azienda si rivolge direttamente alla Procura e chiede di ottenere il dissequestro degli impianti dell’area a caldo, forte del decreto che di fatto cancella il provvedimento con cui era stata bloccata la produzione. I legali del gruppo Riva hanno chiesto l’esecuzione di quanto contenuto nel decreto legge entrato in vigore lunedì, per consentire all’azienda di rientrare in possesso dei reparti sequestrati e della merce prodotta. Il decreto infatti, comporta l’inefficacia del provvedimento di sequestro nel momento stesso in cui garantisce e autorizza la continuità  dell’attività  produttiva nei siti industriali ritenuti strategici per l’interesse nazionale. Nell’art. 1, si fa esplicito riferimento alla situazione dell’Ilva, e si specifica che «anche quando l’autorità  giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa titolare dello stabilimento, essi non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell’autorizzazione, l’esercizio dell’attività  d’impresa». La mossa dei legali dell’Ilva è l’ennesimo atto di una battaglia legale iniziata lo scorso 26 luglio: con l’istanza alla Procura, i legali hanno evitato di rivolgersi direttamente ai giudici a cui spetta, nel caso, sollevare la questione di incostituzionalità . Ora la Procura potrebbe girare la stessa istanza alla gip Patrizia Todisco. A quel punto, potrebbe essere proprio Todisco, davanti al giudice del Riesame, a chiamare in causa la Consulta sul decreto del «salva Ilva» appena varato.
Quest’oggi rientrerà  al lavoro gran parte dei 4.000 lavoratori dell’area a freddo, chiusa dall’azienda a seguito del sequestro del prodotto finito e semilavorato del 26 novembre scorso: una sorta di rappresaglia da parte dell’Ilva, che però si è abbattuta unicamente sui lavoratori. Resteranno fuori dal ciclo produttivo i 700 lavoratori circa dei reparti Treno Lamiere, Tubificio 2 e Rivestimenti, per i quali scatterà  la cassa integrazione ordinaria.
Resta invece critica la situazione degli approvvigionamenti dei minerali, sia per le disposizioni precedenti dei custodi giudiziari (massimo 15mila tonnellate al giorno di materie prime da scaricare) sia per le conseguenze del tornado del 28 novembre: nell’area portuale in dotazione all’Ilva infatti, sono inutilizzabili le gru atte allo scarico, mentre è sotto sequestro la banchina del IV sporgente dove ha perso la vita l’operaio Francesco Zaccaria, precipitato in mare con la cabina di manovra di una gru.


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