Il Nobel Esquivel contro la Ue “Fa la guerra, non merita il premio”

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«Un premio senza senso: un riconoscimento per la pace dato a chi fa la guerra. No, il mio consenso non lo avranno mai». Adolfo Pérez Esquivel, argentino, pittore e scultore ma soprattutto attivista per i diritti umani, ha vinto il premio Nobel per la pace nel 1980 per il suo impegno contro la dittatura del suo paese. Da allora, del massimo riconoscimento internazionale consegnato ogni anno a chi si batte in nome dei diritti, è diventato una delle anime critiche. E in quanto tale pochi giorni fa ha preso posizione ufficialmente, con una lettera inviata all’Accademia dei Nobel e firmata insieme ai colleghi Nobel Desmond Tutu, sudafricano, e Mairead Maguire, irlandese, contro il riconoscimento assegnato alla Ue. Come a dire che, prima dei contestatori che ieri hanno marciato a Oslo e si preparano a fare la stessa cosa oggi, sono arrivati lui e i suoi colleghi.
Signor Pérez Esquivel, lei, Tutu e Maguire avete scritto nella vostra lettera che l’Unione europea non è degna del Nobel: perché?
«Perché è portatrice di una contraddizione enorme. Chi vince il Nobel è chiamato a lavorare per la pace: l’Unione europea, tramite la Nato, è in questo momento coinvolta in molti conflitti nel mondo. È di fatto in uno stato permanente di guerra. In molte realtà , e posso citare l’Iraq e l’Afghanistan, ma anche la Libia e la Siria, l’Unione ha scelto di usare le armi invece che gli strumenti della pace. Questo ha preoccupato me, ma anche Tutu e Maguire: per questo abbiamo deciso di agire ».
La vostra lettera ha creato polemiche: qualche risposta?
«No, nessuna. E siamo piuttosto delusi. Non ci hanno risposto da Oslo, né da Bruxelles. Ma del resto non mi aveva risposto neanche Obama, quando gli avevo scritto dopo la sua assegnazione del Nobel, per chiedergli di fare qualcosa per la pace: ha continuato con le sue guerre e questo è un motivo in più per me per temere che Bruxelles faccia lo stesso. Detto ciò, credo che sia stato comunque importante scrivere: penso che i criteri di assegnazione del premio da qualche tempo a questa parte siano discutibili. È importante dirlo».
Non potrà  però negare che l’Europa vive una situazione di pace da oltre 50 anni, e che protagonisti di questa pace oggi sono paesi che per secoli prima
si erano combattuti. Non le sembra un buon motivo per il Nobel?
«Per un Nobel alla memoria sì, per un Nobel al futuro no. Se è questo il motivo del premio, doveva essere attribuito 50 anni fa. Oggi l’Europa è un continente che non cerca risposte alla crisi profonda del mondo: un mondo che necessiterebbe di un cammino diverso per il futuro, di rivedere le basi e i contenuti del suo essere. Non mi pare che l’Europa sia protagonista in questa discussione. Qual è la ricetta europea di fronte alla crisi economica? Per quello che vedo io è la guerra: che, lo sappiamo bene, fa molto bene alle economie dei paesi coinvolti».
Lei il premio a chi lo avrebbe dato?
«A Evo Morales, che da anni lavora per l’integrazione delle diverse culture nella sua Bolivia e che facendo questo offre un modello diverso di sviluppo. Questa è la mia proposta personale, ma non voglio suonare radicale: io ho festeggiato il premio dello scorso anno, attribuito a tre donne eccezionali, come Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Gbowee e Tawakkol Karman che hanno lavorato per la pace e il cambiamento nei loro paesi. Quello che voglio direi è che questo riconoscimento dovrebbe andare a chi propone forme di pensiero e di azione utili, diverse, rivoluzionarie: come le premiate del 2011, appunto. Non a gente come Al Gore, che ha fatto un film e poi ha smesso di occuparsi di ambiente. O Barack Obama, che ha fatto tante promesse ma deve ancora chiudere il carcere di Guantanamo».


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