Il premier lascia Palazzo Chigi «Mesi affascinanti e difficili»

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ROMA — È ufficialmente aperta la crisi che era nell’aria almeno dal 6 dicembre scorso, quando in Parlamento il Popolo della libertà  di Silvio Berlusconi preferì l’astensione al voto favorevole su una questione di fiducia al governo. Come aveva annunciato dopo l’apertura di quella frattura nella «strana maggioranza» composta da Pdl, Partito democratico e Unione democratica di centro, ottenuta ieri l’approvazione della «legge di Stabilità » sui conti dello Stato Mario Monti nel pomeriggio è andato da Giorgio Napolitano e si è dimesso.
Che lo sbocco della crisi sia la prossima fine della legislatura cominciata nel 2008 con il governo Berlusconi IV, dopo 401 giorni nei quali il successivo governo dei tecnici è stato a tutti gli effetti in carica, è evidente. Ed è una delle non tante certezze.
Nell’informare che il presidente del Consiglio aveva rassegnato il suo mandato al capo dello Stato, il segretario generale del Quirinale Donato Marra ha ricordato che Monti ha presentato le dimissioni «preannunciate come irrevocabili» l’8 dicembre. Nel novembre 2011, l’economista dela Bocconi era stato da Napolitano prima nominato senatore a vita, poi mandato a Palazzo Chigi al posto del dimissionario Berlusconi mentre il divario tra le rendite dei titoli di Stato italiani e tedeschi era schizzato a 578 punti. Ieri è stato invitato a restare in carica per gli «affari correnti».
Su questa crisi che ha davanti a sé il muro di una legislatura pressoché esaurita, con elezioni da tenere nel 2013, Napolitano consulta oggi i gruppi parlamentari. Nel frattempo, le incognite sull’Italia dei prossimi mesi riguardano quanto può fermentare o sgonfiarsi ai margini dei risvolti istituzionali della crisi: quali saranno esattamente le formazioni e le alleanze in gara nella campagna elettorale e quale ruolo sceglierà  di avere Monti.
Nell’ultimo giorno nella pienezza del mandato, il presidente del Consiglio ha concluso come da programma la nona conferenza degli ambasciatori d’Italia. Benché il governo fosse stato convocato a Palazzo Chigi per subito dopo, nella Roma politica non a tutti era chiaro che la seduta sarebbe stata quella necessaria per permettere a Monti di rassegnare il mandato sul Colle.
Alla Farnesina è scattata una sorta di moviola. Nel ripercorrere davanti agli ambasciatori tappe dei suoi 13 mesi da presidente del Consiglio, il professore ha affermato: «Rispetto a un anno fa, grazie a una maggiore collaborazione tra gli Stati membri e — lasciatemelo dire — grazie anche all’iniziativa e alla tessitura italiana — la situazione dell’Europa e dell’euro è notevolmente migliorata».
Monti ha rivendicato di aver fatto bene a compiere numerose missioni all’estero. «Abbiamo dato un chiaro segnale che non intendiamo rinunciare alla moneta unica», ha aggiunto. «La strada è ancora lunga, ma i risultati cominciano a vedersi e consentiranno ai Paesi dell’Eurozona (…) di diventare più solidi e stabili. L’Italia lo è già  diventata, nonostante residui d’insofferenza e irrequietezza non del tutto sani».
Poi: «Simbolico forse, e comunque a me molto gradito, che la mia visita a questa importante conferenza e queste mie parole siano con ogni probabilità  l’ultimo saluto e le ultime parole prima di quelle di formale rassegnazione delle dimissioni (…). Grazie di avermi permesso di concludere con voi questi difficili e affascinanti 13 mesi». Applausi. Più tardi, titoli di coda.


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