Ilva, nuovo scontro governo-magistrati

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BARI – Il giudice nega il dissequestro dei prodotti già  lavorati. L’azienda risponde: «Valgono un miliardo di euro. Da oggi siamo costretti a mettere in cassa integrazione quattromila operai, oltre i mille e 200 già  a casa». Il governo corre ai ripari: «Oggi approveremo un decreto esplicativo per chiarire che la facoltà  di commercializzazione riguarda anche le merci prodotte prima dell’entrata in vigore del decreto salva-Taranto e attualmente sotto sequestro». Qualcuno lo chiama ricatto. Altri scontro tra poteri. Altri ancora, partita a scacchi. Certo è che il bubbone dell’Ilva non è affatto finito. E anzi si è trasformato in contagio: da Taranto a Genova, da Salonicco a Tunisi l’Ilva ha annunciato che migliaia di persone da oggi rimarranno senza lavoro.
La partita è cominciata in mattinata quando il gip, Patrizia Todisco, ha rigettato la richiesta di dissequestro avanzata dall’Ilva sul materiale prodotto prima dell’entrata in vigore del “decreto salva Taranto” che di fatto ha scavalcato il provvedimento della magistratura, concedendo all’azienda la facoltà  d’uso con tanto di produzione e commercializzazione. Si tratta di circa un milione e 700mila tonnellate di acciaio, «dal valore – dicono dall’azienda – di circa un miliardo di euro». «Quello per noi – ha spiegato però il gip, accogliendo il parere negativo della procura al dissequestro – è un corpo di reato e nessuna legge è mai stata retroattiva». Quindi, quell’acciaio non si può vendere.
In serata la reazione durissima dell’azienda con un comunicato che ha gelato tutti, sindacati compresi. «Tutta la produzione giacente in stabilimento, generata prima e dopo la data del 26 luglio 2012 e fino al 2 dicembre 2012, non potrà  essere inviata agli altri stabilimenti del gruppo per le successive lavorazioni o consegnata ai clienti finali. Questo significa che da ora e a cascata per le prossime settimane circa mille e 400 dipendenti rimarranno senza lavoro. Il numero di questi lavoratori si andrà  a sommare ai già  mille e 200 attualmente in cassa integrazione». Questo per quanto riguarda Taranto. «Si fermeranno poi a catena – continuano – gli impianti Ilva di Novi Ligure, Genova Racconigi e Salerno, dell’Hellenic Steel di Salonicco, della Tunisacier di Tunisi e di diversi stabilimenti presenti in Francia nonché tutti i centri di servizio Ilva, come Torino Milano e Padova, e gli impianti marittimi di Marghera e Genova. Tutto ciò comporterà  una ricaduta occupazionale che coinvolgerà  un totale di circa duemila e 500 addetti. Le ripercussioni maggiori si avranno a Genova e Novi Ligure dove nell’arco di pochi giorni da oggi, saranno coinvolte circa 1.500 persone (1.000 su Genova e 500 su Novi Ligure)». «Ma a noi hanno detto – spiega la Fiom da Genova – che sino al 7 gennaio comunque si lavora».
In ogni caso, vista la posizione durissima dell’azienda, in tarda serata il governo ha deciso di intervenire scavalcando ancora una volta la magistratura. «Il Consiglio dei ministri ha deciso di presentare un emendamento interpretativo al decreto salva-Taranto» ha spiegato il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, che oggi illustrerà  il testo alla Camera. «Con l’emendamento – continua – si chiarisce che la facoltà  di commercializzazione dei manufatti da parte dell’Ilva, riguarda anche quelli prodotti prima dell’entrata in vigore del decreto salva-Taranto e attualmente sottosequestro». Il governo quindi dirà  ai giudici di dissequestrare anche il prodotto finito e, inevitabilmente, si aprirà  un conflitto alla Corte Costituzionale. «Esattamente quello che si doveva evitare – commenta il presidente della Regione, Nichi Vendola – L’Ilva deve finire dinanzi al suo giudice naturale: il disastro ambientale non è una fatalità  ma una catena di reati. Ora l’Ilva reagisce drammatizzando lo scontro, e questo non è un bene. E un qualsiasi salvataggio non può che essere subordinato alla affermazione del primato non negoziabile del diritto alla salute della città  di Taranto».
Ma non è soltanto Taranto a soffrire la situazione occupazionale. Proprio oggi scatteranno 2.300 cassa integrazioni a Piombino, la seconda acciaieria italiana dopo Taranto.


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