Ingroia: primavera per l’Italia

by Sergio Segio | 22 Dicembre 2012 8:51

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«Io ci sto. Ma io ci sto se voi ci state. Ma voi ci state?». Sfuma il rock «obamiano» di Bruce Springsteen, Ingroia alza la Costituzione e scandisce questa domanda all’inizio del suo one-man-show ieri al teatro Capranica di Roma. Gli risponde un lungo applauso e un coro di sì, forse cinquecento, tanta gente c’è, in tanti restano fuori.
Un discorso di un’ora, solo sul palco, al centro di un cono di luce. Salta agli occhi la differenza con i palchi collettivi di Cambiare si può, chissà  chi ha scelto questa scenografia. Ma cambiare si può, certo, presto anche l’idea di palco.
Quello di ieri non è ufficialmente l’annuncio di una candidatura («per questo dovrete ancora aspettare»). Ma il procuratore palermitano pronuncia un discorso da candidato premier, proprio mentre Mario Monti sale rassegnare le dimissioni al Colle. Ingroia è «un partigiano della Costituzione», «voi non siete qui per me, siete qui per lei». Chiede di «salvare il paese» cambiando «una classe dirigente che ha scelto la connivenza con la mafia, a volte anche la connivenza». Ci vuole una «rivoluzione democratica», formula cara a Walter Veltroni. Ingroia la declina nell’impegno: «Non possiamo restare sulla riva del fiume in attesa che passi il cadavere del nemico, il cadavere potrebbe essere l’Italia».
Attacca con una orgogliosa rivendicazione della sua scelta di magistrato che scende in campo, risponde alle critiche, «tranne quelle del Berlusconi delle leggi ad personam, di Dell’Utri che lo ha aiutato a fare un partito che andava incontro alle esigenze di Cosa Nostra e del piduista Cicchitto». Rivendica il diritto ad andare ai congressi di partito (lui è andato a quello del Pdci) «la battaglia contro la mafia deve essere combattuta anche in parlamento». Ricorda lo scetticismo con cui, da giovane pm, pensava al Falcone che andava a Palazzo di giustizia: «Aveva ragione». Al Pd che gli obietta che i magistrati non dovrebbero candidarsi ricorda che nel Pd ci sono tanti «bravi magistrati». Non è questo il punto per chi lo accusa di essere «giustizialista e manettaro». Dalla platea si urla «e sulle carceri non dici niente?», è Antonio Borrelli, ha lasciato i radicali da anni ma quando è troppo è troppo. «Nelle carceri si vede il modello crudele della giustizia classista», risponde Ingroia. Parla di un’Italia onesta ispirata a Falcone e Borsellino, poi declina la giustizia con «giustizia sociale», in un paese in cui «i poveri sono sempre più poveri», ce l’ha con Monti e Berlusconi.
Né il terzo né il quarto polo
«Né il quarto né il terzo polo, non siamo secondi a nessuno». E qui parte il core business del ragionamento. Ingroia lancia un appello a Bersani, «persona seria, ben intenzionata. Ma talvolta di buone intenzioni è lastricata la strada per l’inferno». A lui chiede «un incontro presto per verificare se sono possibili convergenze» («Domani», urla Di Pietro dalla prima fila), «chiediamo al Pd se vuole fare un salto di qualità  ed essere davvero alternativo alle politiche diMonti . Se non è così noi non ci stiamo».
Il tema è delicato. A pochi passi da qui c’è un folto gruppo di Cambiare si può, l’appello degli arancione, riunito davanti alla diretta in streaming per capire dove si va a parare. Considerano il Pd «montista per definizione». Oggi hanno chiamato Ingroia al teatro Quirino per vedere se una lista comune si può fare. Ma la risposta è che si può fare. Perché Ingroia, con bella mossa, dopo l’appello a Bersani ne fa un altro a Grillo. E se Bersani e Grillo pari sono, gli arancioni possono stare tranquilli: né l’uno né l’altro diranno sì. Gli uomini intorno a Bersani hanno già  cominciato a farlo. Lo ha fatto Matteo Orfini proprio sul manifesto. Non è un caso che all’uscita Livio Pepino e Marco Revelli dicono che si può fare, «non ci sottrarremo certo al dialogo, non siamo choosy».
«Ai partiti chiedo un passo indietro»
Ingroia prova a sciogliere anche il nodo della presenza dei politici nella lista comune. Con loro perfetto accordo, visto sono in prima fila, entusiasti, fra il sindaco di Palermo Orlando e quello di Napoli De Magistris siedono Di Pietro e Zipponi dell’Idv; Diliberto del Pdci. Bonelli dei verdi e Ferrero hanno scelto di stare in mezzo alla folla. Il magistrato ringrazia, sono esempi, dice, di una politica «pulita», mettendo fra parentesi qualche performance meno splendente fra i dipietrini. Ma poi chiede loro «un passo indietro», «per aiutare la società  civile a fare un passo avanti. Voi non sparite, restate accanto a noi in questa battaglia». È una rottamazione? Sì, ma anche no. Sono loro ad aver organizzato l’evento, è con Di Pietro e Diliberto che poi Ingroia si chiuderà  in in un lungo colloquio. Viene da chiedersi perché chi si sente «un politico per bene» accetta di non stare in prima fila in questa nuova battaglia. Ma è interrogativo ozioso, gli esponenti maggiori di partiti ormai minori hanno già  accettato. E i segretari sono invitati a raccogliere le firme per una lista in cui non saranno candidati.
Basterà  per avvicinare i diversi accenti di Idv e Pdci sul fronte dell’apertura con il Pd, e il Prc dall’altra? Ingroia invita «a non cadere nelle divisioni del passato».
La lista dei sogni
«Io ci sto», ripete il titolo del manifesto che circola in sala, «mi metto a disposizione nel ruolo che vorrete. Ma a alcune condizioni. In tanti devono metterci la faccia», dice Ingroia. E quindi fa appello al segretario della Fiom Maurizio Landini («le tue battaglie contro Marchionne sono le nostre»), a don Ciotti (il suo braccio destro don Marcello Cozzi ha firmato «Cambiare si può», la più alta in carica dell’associazione Libera, Gabriella Stramaccioni, ha firmato l’appello Io ci sto ed è in sala), a Salvatore Borsellino e alle sue Agende Rosse, alle donne di Se non ora quando, i giornalisti di Art.21, del Fatto, e Santoro e Sandro Ruotolo. «Io ci sto, voi ci state?», ripete in chiusura. Riceve di nuovo l’applauso e un coro sì. Ma stavolta nell’aria resta qualche domanda. Che non è mai un male.

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