LA TATTICA DEL PERDENTE

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E’ tornato in campo Berlusconi (solo che questa volta non ha trovato il campo), ma soprattutto, con le sue pre-dimissioni, si è ripreso prepotentemente la scena Mario Monti, schierando una folta e influente tifoseria internazionale. Talmente influente che per lo stesso segretario Pd la carica delle primarie rischia di essere già  un amarcord. 
Il presidente del consiglio non ha ancora sciolto la riserva su una sua candidatura, ma l’ingresso teatrale di ieri al vertice Ppe è servito a raccogliere un’investitura che in ogni caso, è il messaggio inviato in patria, dovrà  servire come monito a chi entrerà  dopo di lui a palazzo Chigi. L’ombra del montismo si allunga a tal punto sul Pd che, intervistato dalla Welt, Bersani si è sentito in dovere di affermare che sì, Monti farebbe bene a tenersi fuori dalla campagna elettorale, ma se deciderà  di candidarsi «rispetteremo la decisione e segnaleremo la volontà  di collaborare». Di fronte all’evidente difficoltà  di fronteggiare un potenziale candidato così ingombrante e oltretutto sostenuto «lealmente», è leggibile il tentativo di uscire dall’angolo improvvisando una nuova mossa tattica per rassicurare le famose cancellerie. Ma di tattica (e dell’intramontabile complesso da fattore K), come Bersani dovrebbe ben sapere, si può morire. Ancor prima delle elezioni il leader del «cambiamento» promesso si precipita a indicare accordi con chi potrebbe diventare il suo principale contendente (magari con mezzo Pdl al seguito), ridimensionando l’alleato di sinistra Vendola («si deciderà  a maggioranza e il Pd è sopra il 30%»). Più che a una tattica somiglia alla rassegnazione. Oltretutto per il segretario democratico ora l’agenda Monti è «un punto di non ritorno».
Le primarie per la scelta dei parlamentari potrebbero rivelarsi l’ultimo paradosso. Si voterà  con il Porcellum soprattutto per la netta contrarietà  di Bersani a una riforma che gli sbarrasse la strada, favorendo un Monti bis. Ma con la china intrapresa il leader del Pd rischia di tornare alla casella di partenza, incoronando il professore prima del tempo. Incrociare le dita sperando che l’unto dai mercati decida di non scendere in campo non è esattamente una posizione politica.


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Il bravo Stefano Folli, sul Sole 24 Ore di ieri titolava «Il Lazio può inghiottire il Pdl». Certamente, il Lazio è anche Roma – ricordate «capitale corrotta, nazione infetta»? – lo scandalo del Pdl nella regione Lazio può travolgere tutto il partito, anche perché la Polverini non è un personaggio di secondo piano. È la botta più forte per Berlusconi e tale – penso io – da indurlo a desistere dalla tentazione di tornare in campo. Il caso Lazio è la conferma della frammentazione del fronte berlusconiano. Che fine fa il rapporto con la Lega se torna, così evidente, «Roma ladrona»?

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