La vera trincea sarà  il lavoro

Loading

Da troppo tempo il centro sinistra non riesce ad avere una sua proposta sul lavoro, il problema numero uno con 3 milioni di disoccupati. Agisce solo di rimessa e il più delle volte a conservazione dell’esistente. Non è un difetto da poco per una coalizione che vuole ridurre le disuguaglianze: quando i soldi per politiche redistributive non ci sono, solo il lavoro può contenere i divari di reddito e ridurre la povertà . E dai tempi con cui si riuscirà  a migliorare la situazione occupazionale verrà  l’unica spinta autoctona alla crescita, quella non importata dall’estero attraverso le esportazioni.
È da cinque anni che il mercato del lavoro peggiora in Italia. Da agosto di quest’anno c’è stata un’ulteriore accelerazione nella crescita della disoccupazione. Troppo presto per capire se e in che misura è responsabile di questo peggioramento la riforma del mercato del lavoro varata a luglio. Solo il crollo del lavoro intermittente (–20 per cento) sembra oggi imputabile con ragionevole certezza alla riforma Fornero. C’è stata, infatti, una netta inversione di tendenza da quando è entrata in vigore la legge 92/2012; sino ad allora si era registrata una crescita costante di questi rapporti di lavoro. Nel Veneto, i lavori intermittenti sono addirittura quintuplicati da inizio 2008 a luglio 2012 e da allora sono in forte calo. Il crollo del lavoro intermittente non sarebbe di per sé preoccupante, se accompagnato da una trasformazione del lavoro a chiamata in contratti a tempo indeterminato. Il problema è che nello stesso periodo – ce lo dicono i dati disponibili sulle comunicazioni obbligatorie – si sono ridotte anche le conversioni di contratti atipici in contratti permanenti. Lo stesso contratto di apprendistato, quello su cui puntava la riforma, ha registrato un forte calo sia in termini di assunzioni che di trasformazioni in contratti a tempo indeterminato al termine del periodo di formazione, nonostante gli incentivi fiscali posti in essere dalla nuova normativa.
L’accelerazione della disoccupazione negli ultimi mesi è un portato del forte calo delle assunzioni. Sono diminuite più del 10% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con punte del 20 per cento in Lombardia. Aumentano anche i licenziamenti (soprattutto quelli individuali), ma il numero totale di cessazioni di rapporti di lavoro diminuisce. L’aggravarsi della recessione ha sicuramente influito su questi sviluppi. Il fatto nuovo però è che questo blocco delle assunzioni vale a tutte le età , colpisce perciò anche quel crescente numero di persone (sono aumentate del 15 per cento rispetto a un anno fa) che, rimaste senza lavoro, non si ritirano dalla vita attiva aspettando una pensione, perché questa si è allontanata nel tempo con la riforma delle pensioni proprio mentre la durata delle indennità  di mobilità  si riduceva. Il blocco delle assunzioni non è colpa della riforma delle pensioni. Al contrario nel nostro paese le assunzioni aumentano quando le persone vanno in pensione più tardi. Ma in presenza di un blocco delle assunzioni, la riforma delle pensioni aggrava il problema sociale sempre più pesante degli ultra55enni rimasti senza lavoro.
Bisogna perciò contrastare al più presto il blocco delle assunzioni. Il problema è che la legge 92, mentre ha reso più difficile per i datori di lavoro l’utilizzo di diverse tipologie di contratti temporanei, non ha creato un percorso di ingresso alternativo, che portasse gradualmente verso la stabilità  e che valesse a tutte le età . Rimangono per i neoassunti due regimi contrattuali troppo lontani l’uno dall’altro per non creare segregazione in quello meno vantaggioso per il lavoratore e meno impegnativo per chi lo assume: da una parte la giungla di contratti temporanei da cui si può essere licenziati senza costo alcuno e, dall’altra, i contratti a tempo indeterminato in cui, fin dal primo giorno dopo la prova, si è protetti da costi di licenziamento, molto alti, come se si fosse rimasti in quell’azienda per 20 o 30 anni.
Riuscirà  finalmente lo schieramento guidato da Bersani ad elaborare una propria proposta per affrontare il problema del dualismo contrattuale nel nostro mercato del lavoro? Riuscirà  a farlo tenendo conto del fatto che non ci sono soldi per sgravi fiscali e che le imprese nei settori che potranno creare lavoro richiedono, per assumere, una certa flessibilità  in ingresso? Se non riuscirà  in questo intento, magari prendendo spunto dalle diverse proposte a firma di parlamentari del Pd depositate in Parlamento, il centro sinistra rischia addirittura di dover tornare indietro rispetto alle stesse misure contro il precariato introdotte dalla riforma Fornero. Pur di scongiurare un blocco delle assunzioni, potrebbe andare bene oltre la marcia indietro compiuta da questo governo con l’abolizione del cosiddetto “causalone”, un modo per liberalizzare, anziché disincentivare, i contratti temporanei. Non vorremmo mai che un governo guidato dal centro sinistra tornasse a facilitare l’utilizzo dei contratti intermittenti, a favorire i contratti a progetto e le associazioni in partecipazione e magari reintrodurre nel settore privato i co.co.co.. Bene anche che si eviti di avvilire gli ultra 55enni che hanno perso l’impiego proponendo loro l’apprendistato come unico percorso di reinserimento nel mercato del lavoro.
Per risolvere i problemi del nostro mercato del lavoro c’è anche bisogno di un governo che abbia il coraggio di prendersi in prima persona la responsabilità  di queste scelte. La legge Fornero e, prima di questa, le norme introdotte dal ministro Sacconi, hanno ampliato a dismisura la gamma delle materie decise dalla contrattazione collettiva. Altre materie, come il nuovo contratto di apprendistato, sono state delegate alle Regioni. Ma un governo non dovrebbe mai abdicare alla contrattazione il compito di fissare standard contrattuali e retributivi minimi. Perché questi minimi devono valere per tutti i lavoratori, non solo quelli rappresentati dal sindacato, e devono essere rispettati. Quanti altri crolli di palazzine in nostre città  del Sud ci devono essere per rendersi conto del fatto che in Italia i minimi contrattuali valgono solo sulla carta e che si lavora rischiando la vita a meno di quattro euro all’ora? E a quale livello deve salire la disoccupazione giovanile per avere misure immediatamente operative nel favorire le assunzioni, anziché demandare queste norme ai tempi lunghi delle amministrazioni locali?


Related Articles

Amazon strike. Driver in lotta, consegne bloccate in tutta la Lombardia

Loading

Presidi degli autisti dei 4 magazzini gestiti da società in appalto. I sindacati costringono il gigante a scendere a patti: tavolo il 26. Filt Cgil, Fit Cisl e Uilt chiedono stabilizzazioni e migliori condizioni

Contro la povertà , poche scuse

Loading

Pochi giorni fa l’Onu ha celebrato la Giornata mondiale contro la Povertà . Un’occasione per ricordare la campagna “No Excuse 2015” con gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio che nel lontano 2000 misero d’accordo 189 Capi di Stato nell’assicurare un futuro più equo e dignitoso per tutti gli abitanti della terra. Cosa rimane e cosa si è perso di quel grande movimento globale che impose ai governi di mezzo mondo di mettere in agende il tema della lotta alla povertà ? Per riflettere su questo tema abbiamo intervistato il professor Riccardo Moro, economista, docente di Politiche dello sviluppo alla Statale di Milano.

SINISTRE D’EUROPA

Loading

Ieri la Spagna ha incrociato le braccia ed è scesa in piazza. Ma quanti anni dovremo aspettare prima di poter scrivere che a proclamare lo sciopero generale e a invadere le piazze è stata l’Europa, non questo o quel paese?

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment