L’America sotto shock dopo la strage degli innocenti “Basta sangue, fermate le armi”

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NEW YORK â€” Dopo la strage Barack Obama è sotto assedio. Veglie e sit-in davanti alla Casa Bianca. Raccolte di firme per chiedere leggi contro le armi facili. In una nazione dove ci sono ormai 200 milioni di armi per 311 milioni di abitanti, dove «è più facile comprare un fucile da guerra che ottenere la patente di guida» (lo ammette perfino il tabloid di destra Daily News), può il presidente rinviare ancora un giro di vite?
Il sindaco di New York Michael Bloomberg lo accusa di «mancanza di leadership ». Un editoriale del New York Times lo incalza: «Presidente, quand’è che farà  qualcosa di significativo?». Nel consueto discorso alla nazione del weekend, Obama riprende la frase che ha usato subito dopo il massacro di bambini: «Mettiamo da parte le divisioni politiche, passato il lutto dobbiamo riunirci e prendere misure per prevenire tragedie come questa». Troppo timida per Bloomberg, questa frase: da tempo il primo cittadino della Grande Mela guida una coalizione bipartisan dei sindaci delle grandi metropoli, schierati per leggi restrittive sulla vendita e il possesso di armi. «Abbiamo sentito questa retorica altre volte — dice Bloomberg — e non è servita. Occorre un gesto di vera leadership, del presidente e del Congresso».
A sinistra molti la pensano come lui e premono sulla Casa Bianca. Carolyn Mc Carthy, deputata democratica che perse marito e figlio in una sparatoria, rivolge al presidente un appello accorato: «Lui sa che questa nazione ha sofferto troppo, ne sono certa. Ma ora deve dirci che cos’ha intenzione di fare». Più duro di lei è un altro parlamentare democratico, Jerry Nadler. Che designa il vero colpevole, contro cui chiama alla mobilitazione: «Dichiamo guerra alla National Rifle Association (la potentissima lobby che riunisce possessori, venditori, produttori di armi, ndr). Loro sono i complici attivi di queste carneficine, è ora di dirlo e di fronteggiarli. Novemila americani muoiono ogni anno per colpa loro». La Nra, con 4,5 milioni di membri attivi, è la punta avanzata del movimento pro-armi. La finanziano i big dell’industria militare, le associazioni di armaioli, ma anche un folto esercito di cittadini “in armi” che difendono il diritto costituzionale alla detenzione di pistole e fucili (Secondo emendamento). Ha una potenza di fuoco anche in senso figurato: i suoi aderenti votano compatti seguendo gli ordini di scuderia. Deputati o senatori che hanno osato sfidarla, spesso hanno perso il seggio. Naturalmente c’è un’altra lobby gemella, quella delle armi da guerra, con affinità  evidenti. Gli Stati Uniti hanno il complesso militar-industriale più potente del mondo (Boeing, Lockheed, Raytheon), il budget del Pentagono supera la somma delle dieci nazioni che li seguono (Cina inclusa). E’ una “cultura guerriera” che ha radici profonde. E produce effetti paradossali: perfino i narcos messicani, una delle organizzazioni criminali più pericolose e osteggiate dalla Casa Bianca, passano da questo lato della frontiera quando devono approvvigionarsi in armi, vista la facilità .
Ma nell’immediato l’ostacolo più serio è il “popolo in armi”, con una cultura della legittima difesa che ha antefatti nel Settecento e nell’Ottocento, e ripropone quell’idea delle “milizie armate” come una libertà  sacrosanta. Attorno alla Nra c’è una galassia di altre associazioni che si autodefiniscono “difensori dei diritti civili del popolo americano”. Alan Gottlieb, che dirige una di queste organizzazioni (The Second Amendment Foundation) risponde così alle accuse: «Tante vite umane sono state salvate perché qualcuno ha potuto difendersi con la propria arma». Gli fa eco Dave Workman direttore del magazine online TheGunMag.com: «Se dovessero passare delle restrizioni, ad avere le armi resterebbero solo i criminali, i cittadini onesti sarebbero più indifesi che mai». Più virulento è Larry Pratt che dirige l’associazione Gun Owners of America: «Quelli che chiedono limiti alle vendite di armi, sono loro ad avere le mani sporche del sangue di questi bambini. Per colpa delle leggi attuali i maestri, i presidi, i bidelli delle nostre scuole non possono girare armati. Nessun adulto era armato, dentro la scuola di Newtown nel Connecticut dov’è accaduta la strage. La lezione della tragedia è questa: bisogna abolire ogni limite al possesso di armi dentro i perimetri scolastici».
Queste voci, che in altre parti del mondo appaiono folli, in America fanno presa ben oltre i confini della destra reazionaria. Certo, il 96% dei finanziamenti elettorali della Nra nell’ultima campagna sono andati ai repubblicani. Certo esiste quell’America dei sindaci delle grandi città  che da New York a San Francisco hanno varato da tempo leggi restrittive, anche se poi subiscono impotenti l’afflusso di armi comprate in altri Stati Usa. Tuttavia la timidezza di Obama nasce dal fatto che ampie fasce di elettori democratici (per esempio tra i colletti blu del Mid-West) sono pro-armi. I sondaggi indicano che le stragi non hanno alcun effetto, anzi talvolta rafforzano il partito delle armi facili. Ecco l’ultima fotografia dell’opinione pubblica secondo Gallup: il 50% degli intervistati sono “soddisfatti” delle norme attuali contro il 42% che non lo sono; il 53% non vuole sia messa al bando la produzione o la vendita delle armi semiautomatiche da combattimento; il 69% degli americani ha usato un’arma da fuoco.
Una grande firma del giornalismo americano, il direttore del New Yorker David Remnick, incita Obama a ignorare questi sondaggi: «Presidente, non ha più bisogno di essere rieletto. Su altri temi, dalla riforma sanitaria al matrimonio gay, lei non ha avuto paura di andare controcorrente. E’ il momento di rischiare l’impopolarità ». E l’ostruzionismo repubblicano: il “braccio politico” della Nra non starà  a guardare. Ieri il leader repubblicano alla Camera, John Boehner, ha cancellato il suo discorso settimanale. «Perché sia solo il presidente a parlare in questo lutto nazionale». È una tattica già  usata dalla destra: lasciar passare l’emozione, per poi lasciare tutto come prima.


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