L’annuncio di Ingroia «Ci metto la faccia Faremo la rivoluzione»

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ROMA — «Io ci sto. Ci metto la faccia. Se ci saremo tutti allora potremo fare la nostra rivoluzione. Una rivoluzione civile basata sui valori della Costituzione». E’ un’ovazione quella che saluta, sulle note di Bruce Springsteen, il debutto in politica di Antonio Ingroia: ex pm nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia. La platea da tutto esaurito del teatro Capranica, dove siedono in prima fila, Antonio Di Pietro, il sindaco di Napoli de Magistris, quello di Palermo Leoluca Orlando, il leader dei comunisti italiani Oliviero Diliberto e, più in là , di Rifondazione Paolo Ferrero e dei Verdi Angelo Bonelli, è già  pronta ad acclamarlo candidato premier. Lui li galvanizza: «Siamo già  un polo alternativo al berlusconismo e alle politiche di Monti. Non siamo secondi a nessuno».
Lui ringrazia e respinge gli attacchi: «Non rispondo a Dell’Utri, condannato per associazione mafiosa, o a Berlusconi padrone del suo partito. Ma agli amici dico che la mia candidatura non varrà  come prova di essere stato un pm politicizzato. Sfido chiunque a dimostrarlo nei processi».
Per sciogliere la riserva chiede qualche giorno e alcune condizioni. La prima è che la politica faccia un passo indietro, per incoraggiare la società  civile a farsi avanti. Lo dice ai leader: «Nessuna rottamazione, vi vogliamo nella nostra battaglia. Ma i simboli non devono figurare nella nostra lista che deve unire tutti. Non vogliamo essere un’accozzaglia di colori, un arcobaleno, ma una nuova identità ». Di Pietro applaude e annuncia: «Noi siamo pronti». «Uniamo le forze», invoca Ingroia «non vogliamo solo distruggere ma governare il cambiamento del Paese». E lancia un appello a Pier Luigi Bersani e a Beppe Grillo. «Chiedo un confronto a Bersani senza pregiudizi. Il Pd ha fatto alcuni errori. Ma conosco molti nel Pd che hanno le mie idee». E a Grillo: «A volte ha usato toni un po’ troppo arrabbiati. Ma la sua non è antipolitica. Demonizzarlo è sbagliato». Convoca per nome chi vorrebbe con sé: Maurizio Landini della Fiom; don Luigi Ciotti di Libera; Salvatore Borsellino, fratello di Paolo; le donne di “Se non ora quando”; Michele Santoro. E i radicali? «Apprezzo la battaglia sul carcere, siamo pronti al confronto». «Servono tante adesioni — aggiunge — perché vogliamo osare».
Osa in nome di Falcone e Borsellino, Ingroia: «L’Italia è un Paese ammalato. E’ il Paese delle mafie e delle ingiustizie. Senza memoria. Il loro lascito è un tesoro smarrito da riportare alla luce. Disperdiamo i veleni che ammorbano il Paese». Vuole espellere la mafia e le cricche dall’economia del nostro Paese, riformare davvero la giustizia, eliminare le leggi ad personam, introdurre il reato di autoriciclaggio e ripristinare quello di falso in bilancio.
«Ma non vogliamo essere un polo solo giustizialista e manettaro» chiarisce Ingroia. «So bene che l’Italia è a rischio default. Ma le politiche di Monti sono state ingiuste e sbagliate. Subentrando a Berlusconi ha messo i conti un po’ in ordine ma a pagare sono stati solo i deboli, ora più poveri di soldi e di diritti». Per Ingroia i soldi ci sono: «Ogni anno ci sono 120 miliardi di euro di evasione fiscale, 60 di corruzione. Questo genera la fuga degli investitori, non l’articolo 18. La mafia va eliminata non contenuta come ha tentato di fare la politica finora. Noi abbiamo un’arma potente: l’onestà ».


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