Leader e reali per l’Europa della pace

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OSLO — Quando la tedesca Angela Merkel e il francese Franà§ois Hollande si alzano insieme e levano le braccia con le mani intrecciate, ricordando le guerre che furono e la pace che è, quello è il momento in cui anche fra i diplomatici d’annata si vedono degli occhi lucidi: nel salone d’onore del municipio di Oslo, davanti a re Harald V e alla regina Sonia, l’Unione Europea è venuta a ritrovare un orgoglio in parte dimenticato, e una speranza lacerata dalla grande crisi. Il premio Nobel per la Pace (contestato da qualcuno perché «quali guerre ha mai troncato o evitato la Ue in sé?») significa anche questo: nel cuore della crisi più grave di questo secolo, poter dire come fa Herman Van Rompuy, il presidente del Consiglio dei ministri Ue: «Io sono fiero di essere europeo». Cittadino di quella Ue che ha le sue radici (e lo dice in italiano) «in Roma città  eterna». Conferma la cancelliera Merkel: «Questo giorno è incredibilmente incoraggiante». O José Manuel Barroso, il presidente della Commissione Europea: al posto di un’Europa di guerra c’è oggi un’Europa di pace, e «il nostro impegno è che la Ue aiuterà  il mondo a stare insieme per giustizia, libertà  e pace». Prima prova: «La situazione in Siria è una macchia sulla coscienza del mondo, e la comunità  internazionale ha il dovere morale di occuparsene».
Tutto il resto, almeno per poche ore, è messo da parte, e non è fatto di sole rose. Continuano mai placate, ad esempio, le polemiche sul fatto che Barroso e Van Rompuy non sono leader eletti e chissà  quando lo saranno. Ma qui c’è pur sempre Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo, che eletto dal popolo lo è. Su 27 capi di governo, poi, sono venuti solo in 20, e fra gli assenti spicca il premier della Gran Bretagna, David Cameron. Al suo posto ha mandato il numero due Nick Clegg, con le sue parole agrodolci: «Beh, è un premio per le genti d’Europa, non per un’istituzione…».
Però l’agrodolce non è stato certo il tono dominante della giornata. E al di là  dei cerimoniali, questa Ue è riuscita anche a parlare dei propri mali non curati: «I genitori che lottano per far quadrare i conti — parole di Van Rompuy — i lavoratori licenziati, la prosperità  e l’occupazione minacciate…». Per discutere di questo, dopodomani i leader tornano a riunirsi a Bruxelles, nell’ultimo vertice del 2012: la vera sfida, senza diplomi o medaglie.
Luigi Offeddu


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