’Ndrangheta in Lombardia, 41 condanne

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MILANO — Ai fischi, agli insulti, alle proteste dei condannati nei maxi-processi e dei loro parenti, giudici, avvocati e giornalisti sono in qualche modo avvezzi. Ma ieri, per la prima volta, accanto alla rabbia c’erano la sorpresa e, a tratti, la palpabile paura per il futuro, per il guaio di un conto salato da pagare non solo in anni di galera — complessivamente, più di quattro secoli — ma in milioni di euro. In totale 6 milioni e mezzo, persino un milione e 200mila alla Regione Lombardia, e 300 mila euro a Pavia, primo grande comune del Nord a costituirsi parte civile (per lui in aula c’era l’avvocato Gianluigi Tizzoni), e a tanti altri enti pubblici, ministeri, Stato, riceveranno dalle famiglie della ‘ndrangheta una montagna di quattrini. In Italia non era mai accaduto in queste proporzioni e ieri, 5 dicembre 2012, viene certificato a Milano il cambio di stagione della lotta alla ‘ndrangheta.
“IL PRIMO GRADINO”
La condanna di 41 imputati, e la conferma delle richieste dell’Antimafia coordinata da Ilda Boccassini, vengono vissuti in procura come «il primo gradino di un nuovo percorso». Non più quintali di droga da recuperare, ma indagini che tagliano, al Nord come in Calabria, la «zona grigia». Lo fanno, e ieri è stato evidente, in due direzioni: i colletti bianchi, che con i capi e i picciotti scambiano favori e poteri, come l’ex direttore sanitario della Asl di Pavia Carlo Chiriaco, o il faccendiere massone Pino Neri, entrambi procacciatori di voti per il Pdl, inghiottiti da condanne pesantissime, 13 anni il primo e 18 il secondo, che per un po’ di tempo è stato il “reggente” delle cosche lombarde. E gli imprenditori, che si fanno “scalare” dai clan ed entrano in affari con i boss: non sono più vittime, ma colpevoli, ora, di associazione mafiosa. L’azienda Perego faceva strade, s’era trovata in difficoltà  e aveva aperto le sue porte a un uomo del clan Pelle. Il risultato sono 15 anni di carcere al ragioniere, Andrea Pavone, che quando l’aula di svuota dei parenti si siede in un angolo, la testa tra le mani, e il volto svuotato dalle lacrime. E 12 anni per Ivano Perego, nome del nord, famiglia del nord, imprenditore del nord. Chissà  cosa avevano fatto credere alla moglie, che lancia un lamento tristissimo, un “no” che sa d’infelicità  totale.
LA SORTE DEI BOSS
La pena più alta, vent’anni, è per Candeloro Pio, capo della cosca di Desio, comune della Brianza amministrato dal centrosinistra dopo che la Lega ha fatto cadere la giunta di destra per le infiltrazioni mafiose. Tra i condannati, nel processo imbastito dal pm Alessandra Dolci sulla base delle indagini del Ros e della Direzione investigativa antimafia, c’è anche un ex carabiniere, Michele Berlingieri: quando era in servizio favoriva i boss a Rho, dove, nel corso di un omicidio in cui fu ucciso un albanese, fu ripreso mentre raccoglieva i bossoli esplosi dai suoi amici dei clan. L’unica donna è Angelica Riggio, 31 anni, accusata di pretendere il pizzo a Desio dopo che il suo fidanzato, Domenico Pio, era finito in carcere. Ieri lei è stata condannata a 6 anni e mezzo, lui a 16 anni.
I RISARCIMENTI
La cifra più alta va alla Lombardia: 1,2 milioni di euro. «Un milione — spiega l’avvocato Antonella Forloni — li abbiamo chiesti a tutti gli imputati per il danno procurato all’immagine della nostra terra. Duecentomila a Chiriaco per il suo ruolo nell’Asl». Un risarcimento accolto con urla dalle gabbie dei detenuti: «Vergogna, si costituiscono parte civile i mafiosi!». Consistente anche il danno riconosciuto al ministero della Difesa, alla presidenza del Consiglio e al commissariato per la lotta al racket, 500mila euro ciascuno. Al ministero dell’Interno andranno 250mila euro, 200mila alla Calabria, meno dei comuni di Desio, Sergno e Bollate e della provincia di Monza, da rifondere con 300mila euro.
IL PROSSIMO PASSO
La sentenza conferma l’unitarietà  delle strutture della ‘ndrangheta sull’asse Milano-Reggio Calabria, già  riconosciuta nella sentenza in abbreviato per altri 110 boss del novembre 2011. La figura di Chiriaco è cruciale: ex segretario cittadino della Dc pavese, il manager era vicino all’ex assessore Giancarlo Abelli, del Pdl, a sua volta molto vicino a Formigoni. Grazie a «vari accordi politici», scrive la Dia in una relazione, avrebbe ottenuto una «gestione monopolistica della cosa pubblica» e una grande capacità  di influenza nella sanità . Ora le inchieste puntano sul livello “politico”. Ieri il Riesame, tra le proteste dell’avvocato Giuseppe Rossodivita, ha respinto la richiesta di scarcerazione per Ambrogio Crespi, coinvolto nell’inchiesta che riguarda l’ex assessore formigoniano Domenico Zambetti. E nel motivare il parere negativo, il pm Giuseppe D’Amico sottolinea «l’aumento di voti», dal 2005 al 2010, nei confronti di Zambetti, grazie al «supporto elettorale fornito dalle cosche», che compensava la «perdita di una fetta dell’elettorato cattolico» che non aveva seguito il politico nel passaggio dal Cdu al Pdl.


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