Nella fabbrica di armi dei ribelli “Mercato nero e mitragliatrici così stiamo vincendo la guerra”

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AZAZ – La più grande fabbrica di armi dell’Esercito libero siriano era fino a sei mesi fa un’autofficina, e delle sue origini ha conservato gli attrezzi, il tornio e un ponte per sollevare le macchine dove è ora appesa una trentina di fucili nuovi fiammanti. «Ma la nostra ultima creatura è questa meraviglia», spiega Mohammed Said, un omino basso e calvo, con gli occhi chiari e i baffi nero pece. La creatura in questione è una batteria che ricorda un piccolo Katyusha, caricabile con una decina di razzi e con una gittata di appena 3 chilometri. «E’ precisa al millimetro: grazie a quest’arma presto vinceremo la guerra», spiega Mohamed. La sua fabbrica è a ridosso del confine turco, nel centro di Azaz, uno dei primi villaggi liberati dagli insorti, dove per rappresaglia l’estate scorsa i caccia del regime di Damasco bombardarono la moschea uccidendo un centinaio di civili.
E’ difficile credere che la rivoluzione siriana trionferà  con i lanciarazzi artigianali fabbricati in quest’autorimessa. Ieri, tuttavia, perfino Mosca, principale alleata di Damasco assieme a Teheran, ha per la prima volta ammesso che il presidente Bashar al Assad potrebbe essere presto rovesciato dagli insorti. «Il regime sta perdendo il controllo del Paese e i ribelli sono sul punto di vincere la guerra», ha dichiarato il vice ministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov. Poco dopo, condannando l’uso dei missili Scud da parte dell’esercito lealista contro gli insorti, gli ha fatto eco il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, secondo il quale «il regime di Damasco è prossimo al collasso».
Se ciò dovesse accadere sarà  più verosimilmente grazie all’arsenale che l’Esercito libero siriano s’è creato dal nulla, comprandolo all’estero con l’aiuto delle donazioni di siriani abbienti e di ricchi sceicchi arabi contrari al regime del presidente Assad. «In questa parte di mondo il mercato nero delle armi non è mai stato così florido, basti pensare a tutto ciò che offre l’Iraq e che per arrivare fino a noi passa attraverso il Kurdistan», ci dice il capitano Abu Faruq, capitano della brigata Altawheed, che riunisce tutte le unità  militari di Aleppo. «Nel nord del Paese abbiamo anche sequestrato parecchie armi all’esercito regolare: fucili di precisione, qualche carro armato e diverse mitragliatrici anti-aeree. Con quelle stiamo adesso assediando l’aeroporto militare di Aleppo, dal quale gli elicotteri da combattimento del regime, che sganciavano sulla città  barili carichi di Tnt, non osano più decollare».
Gli chiediamo se è vero, come sostengono alcuni network arabi, che dalla Turchia siano recentemente arrivati missili terra-aria portabili a spalla, quegli Stinger americani in grado di abbattere aerei militari, e altre armi che gli Stati Uniti avrebbero sequestrato in Libia per destinarle agli insorti siriani. «No, non ne abbiamo visto neanche l’ombra. E ormai non ci servono più, perché la guerra la stiamo vincendo con ciò che abbiamo. Detto ciò, se Washington volesse rifornirci di armi pesanti le accetteremmo volentieri, ma senza condizioni di nessun genere», dice Abu Faruq.
Intanto, il Fronte Al-Nusra, componente terroristica della rivolta siriana, ha rivendicato l’attentato commesso da due kamikaze davanti al ministero dell’Interno siriano a Damasco. Nessuno ha invece firmato l’esplosione in un sobborgo della capitale, il cui ultimo bilancio parla di almeno 24 morti, 7 dei quali bambini. Secondo fonti dell’Esercito libero siriano, militanti islamici di diversi Paesi starebbero in questi giorni raggiungendo il Fronte Al-Nusra «infiltrandosi in Siria attraverso la frontiera turca, con il consenso implicito dei servizi segreti di Ankara e Washington». Insieme a “volontari” arabi e a cecchini ex combattenti in Iraq e Afghanistan, questa settimana avrebbero ingrossato le fila dei ribelli estremisti almeno 13 norvegesi di religione islamica. In precedenza, sarebbero arrivati in Siria anche musulmani francesi, tedeschi, britannici ungheresi, svedesi, ceceni, balcanici e perfino un cileno.
Il problema si porrà  una volta caduto il regime di Damasco, perché allora i vertici dell’Esercito libero siriano dovranno fare i conti con quei miliziani jihadisti che adesso riconoscono come alleati. Una volta sgominata la sanguinaria dittatura di Damasco, i mujaheddin non saranno disposti a rispettare nessun patto, salvo quelli dettati dalla più rigorosa applicazione della legge islamica.


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