Pubblicità  con le carceri cinesi, bufera sulla Bosch

by Sergio Segio | 9 Dicembre 2012 8:06

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Berlino – Volete sistemi di sicurezza antifurto o antifuga perfetti? Comprateli da noi di Bosch, noi simbolo dell’eccellenza tecnologica made in Germany. Se non ci credete guardate questi nostri spot pubblicitari, ecco cosa siamo riusciti a realizzare in Cina. L’annuncio di consigli per gli acquisti sembra normale, indolore. Ma le immagini no. Ecco la grata di ingresso di un centro di detenzione cinese, uno dei tanti dell’arcipelago Laogai, cioè l’arcipelago Gulag della futura prima potenza mondiale, l’arcipelago in cui vive anche il Nobel per la pace Liu Xiaobo. La foto dello spot mostra due agenti speciali del Guabuo, il Kgb cinese, che portano all’ingresso un detenuto ammanettato dietro le spalle e avvolto nel pigiama di detenzione arancione stile Guantanamo. La Sà¼ddeutsche lo ha denunciato, scatenando in tutto il mondo le proteste delle organizzazioni dei diritti umani.
Il Ministero per la sicurezza cinese ha organizzato a Pechino la grande fiera mondiale dei sistemi di sicurezza, Security China 2012. Per spingere economia, investimenti, posti di lavoro, certo.
Ma soprattutto per dimostrare che «miglioriamo la sicurezza nella Repubblica popolare, a ogni livello». Ecco, diffusi online in Cina, cinque spot pubblicitari. Immagini reali, o simulazioni da war game. I buoni sono sempre gli agenti del Guabuo e i cattivi i detenuti, quindi anche possibili oppositori. Sistemi di sorveglianza elettronici perfetti, quelli che noi produciamo, con noi nessuno può scappare, dicono gli spot. Mostrano i sensori in ogni punto di prigioni come quella in cui è rinchiuso Liu Xiaobo, o i reticolati. I sottotitoli consigliano: se un detenuto ha l’ora di colloquio con parenti o amici, «controllate bene con i nostri sistemi quanto a lungo parlano, cosa si dicono, che non abusino di quel tempo».
Le organizzazioni internazionali per i diritti umani sono indignate, protestano a livello globale. Dice Wolfgang Bà¼ttner di Human Rights Watch alla Sà¼ddeutsche: «Vendere sistemi di sorveglianza per centri di detenzione a stati dove vengono violati gli standard dello Stato di diritto e le persone sono detenute arbitrariamente vuol dire che le imprese che lo fanno violano i doveri di verifica». Aggiunge Kai Mueller della International campaign for Tibet: «La Cina è uno Stato autoritario, viola sistematicamente i diritti umani, è vergognoso che Bosch realizzi profitti con la repressione cinese, magari specie in Tibet o contro i dissidenti più coraggiosi, Bosch dovrebbe chiudere gli affari in Cina se avesse una coscienza», aggiunge. Ma via, in nome del primato dell’export e del rating del made in Germany che cosa contano simili considerazioni etiche? La risposta della Bosch lo chiarisce: «Non abbiamo violato le regole per le vendite all’estero», dice un portavoce, e aggiunge che l’azienda ha contribuito in modo positivo allo sviluppo dell’economia e della società  cinesi. Infine, si giustifica la Bosch, i materiali non sono stati venduti direttamente alle carceri o alle autorità , ma agli imprenditori cinesi del settore elettronico.

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