Quei 600 mila posti dal turismo alla sanità 

by Sergio Segio | 1 Dicembre 2012 5:41

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ROMA — Sia chiaro, il conto finale porta il segno meno in tutti i settori, per tutte le voci, da qualsiasi angolatura. E non potrebbe essere altrimenti visti i numeri da gelata invernale certificati ieri dall’Istat. Ma anche nell’Italia ai tempi della recessione c’è chi assume, addirittura chi cerca dipendenti e non li trova. Le entrate non compensano le uscite: il numero degli assunti resta ben lontano dalla somma di pensionati e licenziati. Ma questo non vuol dire che il mercato del lavoro sia bloccato, inaccessibile, un muro che respinge senza appello chi cerca un impiego. Per capire quali siano i (ristretti) margini di manovra la cosa migliore è scorrere le tabelle prodotte da Excelsior, il sistema dell’Unione delle camere di commercio che fornisce il dato delle assunzioni previste nel corso dell’anno. L’ultima rilevazione è di pochi giorni fa. Dicono quelle tabelle che nel 2012, in Italia, si prevede di arrivare a 631.340 assunzioni. E che se vogliamo depurare il numero dagli stagionali, che escono e rientrano nel mercato complicando un po’ la lettura, le «entrate» saranno 406.820. Voltarsi indietro non è una buona idea: l’anno scorso erano state quasi il 50% in più. E ormai i contratti a tempo determinato hanno superato quelli definitivi: il 45,3% conto il 41%, fino al 2011 era il contrario. Ma, nonostante tutto, qualcosa si muove.
Vista la fotografia dall’alto bisogna abbassare la lente di ingrandimento per trovare i settori che non hanno smesso di arruolare. Tre quarti delle assunzioni riguardano il settore dei servizi, a conferma che il momento è nero soprattutto per l’industria. A guardare i numeri assoluti le attività  che cercano di più sono quelle legate al turismo, con alberghi e ristoranti che nel 2012 dovrebbero arrivare a 165 mila assunzioni. Qui gli stagionali sono tantissimi, magari gli stessi camerieri che d’estate lavorano al mare e d’inverno in montagna. Ma anche senza contare questa categoria il turismo è sempre in cima alla classifica, con 46.140 assunzioni, superato di un soffio dal commercio al dettaglio con 47.420. Ci sono poi i servizi di supporto alle imprese e alle persone, 39.970, la sanità  con 27.070, la logistica, il commercio all’ingrosso. Poi, con poco più di 14 mila entrate a testa, i primi due settori dell’industria: la produzione di macchinari e, anche se può sembrare una sorpresa viste le notizie che arrivano da Taranto, la metallurgia. Non è invece una sorpresa che in fondo alla classifica ci siano le miniere, con appena 950 assunzioni.
C’è però un’altra angolatura per leggere i dati in maniera più corretta. In termini tecnici si chiama saldo fra tasso di entrata e tasso di uscita. Vuol dire mettere a confronto il numero degli assunti con quello dei licenziati e dei pensionati tenendo conto di quanto è grande il settore. Per capire: è chiaro che ci saranno tante assunzioni nei ristoranti perché in Italia abbiamo molti ristoranti e quindi sono tanti anche i posti disponibili, i pensionamenti e i licenziamenti. Il saldo fra il tasso di entrate e il tasso di uscita annulla queste distorsioni, rappresenta una specie di indice di vitalità  di ogni singolo comparto. Ed è qui che arriva la sorpresa. C’è un solo settore con un valore al di sopra delle zero e quindi in crescita. Quello dei servizi avanzati di supporto alle imprese con un saldo pari allo 0,3%: 19.040 assunzioni contro 17.960 uscite. Numeri piccoli ma significativi. Perché per tutti gli altri il saldo è ben al di sotto dello zero. Anzi, il record va proprio al turismo che fa segnare un meno 2%.
A prescindere dal settore c’è poi il curriculum che funziona meglio. In un momento difficile il titolo di studio dà  una spinta in più. È vero che sul totale delle assunzioni i laureati coprono «solo» il 14,5%. Ma è anche vero che il dato è in crescita di due punti rispetto all’anno scorso. Si riduce invece la fetta delle assunzioni per chi ha una semplice qualifica professionale e delle persone che non hanno una formazione specifica. Mentre restano stabili i diplomati, che rappresentano la fetta più grande della torta con il 41%. Meglio studiare, quindi. Tenendo a mente che pure quest’anno ci saranno 65 mila «introvabili», persone che le aziende cercheranno senza successo sul mercato, perché le persone disponibili non hanno la formazione richiesta o nessuno vuol fare quel mestiere. Al primo posto i «progettisti di sistemi informatici». Anche gli introvabili, però, sentono la recessione, con un crollo del 44% rispetto all’anno scorso.
Ma come si trova oggi lavoro in Italia? Solo l’1,5% passa attraverso il canale pubblico dei centri per l’impiego, gli eredi dei vecchi uffici collocamento, mentre appena il 3,1% utilizza le agenzie per il lavoro. Una ricerca di Confartigianato su dati Istat dice che più della metà  un posto lo trova grazie alle conoscenze, con poca differenza tra il Nord (52,2% dei casi) e il Sud, con il 58,2%. E il confine tra conoscenza e raccomandazione è tutto da definire.

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