Suicida all’aeroporto Il giallo a Bruxelles del diplomatico serbo

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BRUXELLES — «Un attimo prima della tragedia chiacchierava e scherzava con i colleghi nel garage dell’aeroporto. Poi, di colpo, si è diretto al parapetto, l’ha scavalcato e si è lanciato giù: una caduta di 10 metri, forse più».
Così i giornali serbi raccontano la morte di Branislav Milinkovic, 53 anni, inviato speciale della Serbia presso la Nato, rango di ambasciatore, una moglie e un figlio diciassettenne, e molta gente che lo stimava. È volato giù dalla balaustra di un parcheggio multipiano riservato ai diplomatici nell’aeroporto Zaventem di Bruxelles, alle 17.15 dell’altra sera, quando ancora c’era un barlume di crepuscolo nel cielo. Non era una figura grigia: da giovane faceva il giornalista, era stato uno dei capi dell’opposizione a Milosevic. Nei tanti anni da diplomatico a Bruxelles aveva collaborato alle ricerche di Ratko Mladic, era stato uno dei principali negoziatori nelle trattative fra Ue, Nato, Kosovo e Serbia (che non appartiene all’Alleanza atlantica, ma aderisce alla sua partnership per la pace); e secondo una voce su Twitter, aveva firmato un dossier inedito di accuse contro l’ex comandante olandese delle forze Onu a Srebrenica.
Ieri «Brani», come lo chiamavano gli amici di qui, con altri colleghi aveva appena accolto una delegazione diplomatica in arrivo da Belgrado per una riunione della Nato, questa la prima versione ufficiale, e aveva al suo fianco Zoran Vujic, assistente ministro e responsabile politico dei servizi segreti presso il ministero degli Esteri serbo. Ma no, tutto il contrario, assicura invece una seconda versione assai più confusa: il gruppo aveva già  partecipato alla riunione della Nato (che in effetti c’era ed è finita ieri sera) e stava per tornare a Belgrado; parcheggiate le auto, è scoppiato il dramma. Passa mezz’ora, e sull’una e sull’altra versione si abbatte una mannaia: fonti della Nato affermano che i diplomatici serbi non erano attesi l’altro ieri, né avevano partecipato ad alcuna riunione Nato nelle ore precedenti. La verità  sta nel mezzo: niente Nato, e però martedì a Bruxelles vi è stato in effetti un incontro fra il premier serbo Ivica Dacic, quello kosovaro Hashim Thaci, e il «ministro degli Esteri» della Ue, Catherine Ashton.
«La polizia belga sta indagando — ha detto Dacic dopo la tragedia — ma si tratta naturalmente di suicidio». In realtà  la polizia le indagini le aveva già  chiuse, in poche ore: «Tutti gli elementi confermano che si è trattato di un suicidio, nessun’altra persona è coinvolta». Poi, come coperchio sulla vicenda, un’altra voce da Belgrado: «L’ambasciatore soffriva di depressione, lo aveva confidato a un collega: era triste per la lontananza dalla moglie, una diplomatica serba di base a Vienna».
Fra le tante dichiarazioni ufficiose, ce n’è stata anche una ufficiale, quella del segretario generale della Nato, Anders Fogh Rassmussen: «Sono profondamente rattristato». Però prevale l’altro aspetto, quello dell’ombra: questa è pur sempre Bruxelles, la «capitale europea delle spie» che ospita la Nato, la Commissione europea, il Consiglio dei ministri Ue, l’Europarlamento. È la città  da dove più volte, e anche dal quartier generale della Nato, dei diplomatici russi sono stati espulsi. Solo un mese e mezzo fa, un dirigente petrolifero inglese è stato ucciso sulla porta di un ristorante italiano, davanti alla moglie: la notizia è stata diramata 12 giorni dopo, e poi più nulla.
Luigi Offeddu


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