Tagli alla sanità per 14 miliardi «Sono a rischio 250 ospedali»
ROMA — Rispetto a quattro anni fa è cambiato molto poco. Non si è abbassata la percentuale degli italiani utilizzatori dei servizi sanitari che hanno sperimentato almeno una volta le code per visite o esami: 6 su 10. Secondo un’indagine della società Ermeneia, sono diminuite le attese tra 30 e 120 giorni, in compenso hanno avuto uno scatto quello che superano i quattro mesi. Il mancato alleggerimento di questo fenomeno, al quale tanti provvedimenti hanno cercato di mettere fine, sarebbe uno dei sintomi della pressione esercitata sui cittadini, la conseguenza dei tagli alla sanità .
Lo ha denunciato con profonda preoccupazione Gabriele Pelissero, presidente dell’Associazione italiana ospedalità privata nel presentare il decimo rapporto «Ospedali e Salute». I tagli previsti dagli ultimi interventi economici, a partire dalla manovra di Tremonti nel 2011 fino a spending review e legge di Stabilità , sottrarranno da qui al 2014 circa 14 miliardi.
«Probabilmente secondo i nostri calcoli l’effetto complessivo sarà superiore — insiste Pelissero —. Se confrontiamo l’andamento della spesa con gli altri Paesi occidentali vediamo che l’Italia si colloca di ben 2 punti al di sotto di Francia e Germania. Siamo passati nell’ultimo biennio dal 7,2 al 7,1 del Pil». In pratica, «se non verrà cambiato qualcosa il sistema non sarà sostenibile. Finora siamo riusciti a fornire un buon servizio pubblico, ma sotto questa soglia non si può scendere. Non potranno essere garantiti i Lea, i livelli essenziali di assistenza». Cioè quelle prestazioni che tutte le Regioni devono dispensare ai cittadini gratuitamente. A fine anno è atteso il nuovo elenco aggiornato.
In particolare, un pericolo si profila dietro l’angolo per gli imprenditori privati. L’eliminazione di cliniche convenzionate con un numero di posti letto inferiore a 80. Il paletto viene fissato dal documento sugli standard qualitativi all’esame della Conferenza Stato-Regioni. Tra l’altro, sono tracciati i percorsi di riorganizzazione per passare dagli attuali 4,2 posti letto per mille di abitanti a 3,7. Un piano che dovrebbe portare (il condizionale è d’obbligo) alla riconversione di reparti e delle strutture meno produttive e dalle performance meno brillanti.
Il rapporto Aiop censisce le aziende ospedaliere private che non rispondono agli standard stabiliti dal ministero della Salute. Sono 250, danno lavoro a 12 mila persone e producono 300 mila ricoveri all’anno a un prezzo più basso rispetto il pubblico perché soggette a un diverso meccanismo tariffario (che i privati chiedono di equiparare a quello per il pubblico). L’associazione ha elaborato una dettagliata proposta. L’obiettivo è evitare la chiusura «delle attività sane, che garantiscono un buon servizio». Dunque non tagli lineari, ma mirati. Altra criticità sono i ticket: quelli su visite e prestazioni specialistiche sono cresciuti dell’11,3% nel periodo 2009-11, quelli sui farmaci del 13,3%.
Pubblico o privato, la sanità attraversa la fase più difficile da quando nel 1978 è stato creato il Servizio sanitario pubblico, nato come universalistico e oggi diventato un sistema che zoppica per rincorrere questa caratteristica. «Siamo uno dei sistemi universalistici con la maggiore compartecipazione dei cittadini», fa notare Giovanni Bissoni, presidente di Agenas, l’agenzia per i servizi sanitari. Ieri Giovanni Monchiero, presidente di Fiaso, l’associazione dei manager delle aziende sanitarie, ha lanciato un allarme che non sorprende. Molte Asl rischiano di non poter pagare la tredicesima ai dipendenti per problemi di cassa. I lavoratori dell’Idi di Roma sono già senza stipendio.
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