Un Green New Deal per rigenerare lavoro e salute

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Qualunque cosa si pensi del decreto Monti che riapre l’Ilva e fa, contestualmente, partire l’operazione che dovrebbe renderla più compatibile con l’ambiente, è inadeguata di fronte a questi racconti. Il decreto, per disperazione o freddo calcolo, si muove su un crinale rischioso, compiendo una pesante forzatura sul provvedimento della Procura che aveva bloccato la produzione. 
Una forzatura che, dal governo, si vorrebbe compensata da una tempistica della «riconversione» vigilata da un garante nominato dal presidente della Repubblica e al prezzo, se non rispettata, nientemeno che dell’esproprio (in base, oltre che all’art.41, all’art.43 della Costituzione: «A fini di utilità  generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità  di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale»; articoli che sarebbe bene tener presenti anche in altri casi. Se il decreto reggerà  al vaglio della legittimità  costituzionale – cosa di cui si può anche dubitare – resterà  da misurare l’affidabilità  dei soggetti in campo, a cominciare dai Riva, che finora è stata ben al di sotto del minimo necessario. 
In realtà , nella lunga vicenda dell’Ilva, come in altre simili, si manifestano i caratteri e lo stesso fallimento storico della politica industriale italiana e i ritardi, le ambiguità , i limiti della nostra politica ambientale. Per decenni ambiente e salute non sono stati altro che variabili dipendenti della produzione e soprattutto del profitto. All’origine ci sono certo ritardi culturali tipici non solo della classe politica e imprenditoriale e che hanno riguardato anche il mondo sindacale e l’opinione pubblica, la società  stessa, specie nelle varie «città -fabbriche». Ma da un certo punto in poi non è più stato naturale o inevitabile vivere «sotto il vulcano». 
L’ultima indagine della procura di Taranto mette bene in luce le complicità  e contiguità  con l’Ilva del sistema locale di potere, gerarchie ecclesiastiche e certa informazione comprese, i maneggi per sminuire le critiche e le denuncie ambientaliste. Per decenni la Regione, la massima autorità  sanitaria locale, ha latitato, fino ai primi atti varati soltanto con la presidenza Vendola, come ha latitato il governo, fino ai recentissimi provvedimenti. Anche questi, tuttavia, non basteranno, se la politica nazionale, se il governo e il parlamento, non assumeranno l’esigenza di varare un piano straordinario per riconvertire le industrie inquinanti e risanare i territori avvelenati difendendo così per davvero il lavoro e la salute. Un piano che potrebbe essere la base di una sorta di Green New Deal, che rigeneri quegli ambienti e con essi la vita ora insidiata perfino nel momento in cui viene alla luce e ancor prima.


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