Una corsa a rassicurare un’Europa in allerta

by Sergio Segio | 11 Dicembre 2012 7:21

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Il vero problema delle prossime settimane, tuttavia, è quello di non trasmettere alla comunità  internazionale l’immagine di un’Italia prigioniera di un vuoto di potere; e avviata a riproporre alleanze condizionate da un populismo antieuropeo. Da questo punto di vista, le alleanze che sembrano prendere corpo non rassicurano del tutto: né a destra né a sinistra.
La resurrezione dell’«asse del Nord» fra Pdl e Lega non è ancora scontata. Matteo Salvini, leader del partito lombardo, fa sapere che la ricandidatura di Berlusconi «non aiuta, ci porta indietro di 18 anni». E freddo è anche il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia: «La Lega fino a prova contraria al momento corre da sola». Ma se anche maturasse un patto, che incontra resistenze nel Pdl del Centro-Sud, avverrebbe in un contesto di deriva del Carroccio verso posizioni vecchia maniera. Seppure per pura propaganda, la Lega di Roberto Maroni parla di referendum sulla moneta unica; e di smantellamento della politica di Monti.
È vero che il segretario del Pdl, Angelino Alfano, rivendica l’appartenenza del proprio partito al Ppe; e sembra sia rimasto molto turbato dalle parole del presidente della Cei Angelo Bagnasco contro il ritorno di Berlusconi. Ma l’impressione è che nella cerchia del Cavaliere le pulsioni e i calcoli siano diversi; e che l’esigenza di risalire la china possa scatenare il populismo più deteriore. «I cittadini non sono sciocchi», spiega Monti. «E sono maturi». E questo dovrebbe contribuire a non renderli vittime delle «promesse facili». I timori delle cancellerie, però, sono aumentati dopo l’annuncio di dimissioni del presidente del Consiglio.
Per questo il premier ieri ha cercato di sottolineare che dopo l’approvazione della legge di Stabilità , il governo resterà  comunque in carica. E continuerà  a lavorare fino a quando non ne sarà  formato uno nuovo dopo le elezioni. «I mercati non devono temere un vuoto di decisione in Italia», ha detto Monti da Oslo. Ma lo spread, la differenza fra i rendimenti dei titoli decennali di Stato italiani e tedeschi, ieri è salito a 351 punti. È il segno che le sue parole garantiscono fino a un certo punto, dopo la decisione inopinata di Berlusconi di ritirargli la fiducia e il suo rifiuto di farsi logorare in Parlamento. E la campagna elettorale non è ancora cominciata, formalmente.
Il timore di un avvitamento polemico è evidente. E il Pd è preoccupato che possa danneggiare anche il centrosinistra. La lunga intervista data ieri al quotidiano newyorchese Wall Street Journal da Pier Luigi Bersani è significativa; come colpisce che sia stata pubblicata in prima pagina. Il candidato del centrosinistra a Palazzo Chigi si è premurato di spiegare che il patto stipulato con il Sel di Nichi Vendola non compromette il rispetto degli impegni presi con l’Europa. E ha scansato l’ombra dei due governi di Romano Prodi nel 1996 e nel 2006, finiti malamente dopo i conflitti all’interno delle coalizioni di sinistra. Sono ricordi che spiegano le pressioni crescenti su Monti perché faccia un passo avanti, e presto.

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