Una mano dagli Usa ai distretti La meccanica torna a crescere

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Che vendono Oltreoceano non solo oggetti di consumo ma anche beni strumentali e intermedi destinati all’industria. È questa la novità  più interessante che emerge dall’ultimo Monitor dei distretti curato dal servizio di studi di Intesa Sanpaolo e riferito al terzo trimestre del 2012 (luglio-settembre). A guidare lo sbarco in America sono i distretti della termo-elettromeccanica friulana, delle macchine di Vicenza, dei metalli di Brescia e della meccanica del Basso Mantovano e il dato del 15% in più rispetto al corrispondente periodo del 2011 è considerato stabile, non frutto di una fiammata. «Se fosse confermato anche nei prossimi trimestri si tratterebbe di un segnale estremamente importante — spiega Fabrizio Guelpa (Intesa Sanpaolo) — vorrebbe dire che i distretti diventano fornitori privilegiati delle grandi corporation. Se entriamo nella loro catena del valore ne condivideremo le conoscenze e ci arricchiremo dal punto di vista produttivo». Mutatis mutandis si riproporrebbe negli Usa lo schema di fornitura che ci lega da tempo alla manifattura tedesca e la cosa è giustamente considerata motivo di vanto.
Il successo americano non riguarda però solo la meccanica, un pò tutti i distretti hanno messo a segno performance positive, dall’intero agro-alimentare alle calzature di Fermo, dal legno-arredo della Brianza alla concia di Arzignano e Santa Croce sull’Arno. La riscossa americana fa il paio anche con un ottimo risultato in Giappone (+25,2%, sempre confrontando terzo trimestre 2012 su 2011) dove l’exploit è dovuto quasi esclusivamente al sistema moda. Il lusso italiano continua a fare la differenza sul mercato nipponico che pure ha conosciuto un calo dei consumi. È rimasto al palo (-2,7%) invece quello che Intesa Sanpaolo definisce «il motore cinese» e dove — al contrario degli Usa — sono costretti a rallentare proprio i distretti della metalmeccanica e tengono invece botta il food, la moda e l’arredo-casa. «Sembra che gli imprenditori italiani stiano accompagnando la transizione dell’economia cinese verso un modello di sviluppo più incentrato sui consumi individuali».
Se dai mercati di sbocco passiamo ad analizzare le specializzazioni produttive chi sta tirando la volata è il sistema agro-alimentare. A dimostrazione della tesi secondo la quale il nostro export ha grandi margini di incremento (non sfruttati) la somma dei distretti ha fatto segnare +7,5% e i prodotti/territori protagonisti portano i nomi di Alba-Cuneo, Parma, delle mele dell’Alto Adige, dell’ortofrutta romagnola, del lattiero-caseario lombardo, del prosecco veneto e delle conserve di Nocera. «Abbiamo l’impressione — dice Guelpa — che il cibo italiano stia gradualmente ricopiando il successo della nostra moda e anche in questo caso si tratta di un trend di medio periodo». Analizzando meglio i dati emerge che le performance sui singoli mercati sono legate alla bontà  di questo o quel canale distributivo. E comunque la larghissima diffusione dei prodotti di italian sound apre, anche se lentamente, la strada al vero made in Italy. Qualche raggio di luce arriva anche dall’export del sistema casa, mentre da noi a causa della stasi della domanda interna gli industriali del settore chiedono l’estensione dei bonus fiscali, all’estero il marmo di Carrara e le piastrelle di Sassuolo guidano la riscossa (complessivamente +5,1%).
Se quelle che abbiamo citato finora sono le situazioni di eccellenza il Monitor riepiloga tutti i 143 distretti del made in Italy e segnala un export a +1,3% nel terzo trimestre 2012 rispetto a un anno prima, il decimo risultato utile consecutivo. «Sono risultati doppiamente positivi perché ottenuti in una contesto di sofferenza — commenta Guelpa — Per consolidarli c’è bisogno di accrescere la competitività  delle imprese incominciando a beneficiare di quelle riforme del governo Monti che ancora non sono entrate a regime. Sono troppi i decreti attuativi che mancano all’appello».


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