Unione europea: Un Nobel per le frontiere scomparse

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Frontiere che languiscono, frontiere arrugginite, frontiere dimenticate, frontiere abbandonate, frontiere di cui nessuno di ricorda. Un’impressionante serie di fotografie è sufficiente a spiegare come mai l’Unione europea sia stata insignita del premio Nobel per la pace, e anche perché noi europei abbiamo ancora buoni motivi per festeggiare nonostante la crisi esistenziale che ha colpito il Vecchio continente.

Per convincersene basta fermarsi un attimo e pensare al muro costruito dagli Stati Uniti alla frontiera sud o alla barriera di separazione eretta da Israele, per non parlare della frontiera tra le due Coree. Questi tre confini sono un puro e semplice monumento al fallimento, una rappresentazione dell’incapacità  di molti esseri umani di convivere pacificamente superando le differenze di origini, valori, convinzioni politiche e credo religioso.

Anche noi europei un tempo eravamo così. Tutte quelle pietre miliari, quei cartelli e quelle barriere, apparentemente così innocenti, hanno visto morire milioni di persone; sono macchiati del sangue di migliaia di giovani che hanno dato la vita per difendere le frontiere, e sono stati attraversati da milioni di rifugiati ed emarginati.

I nostri padri se lo ricordano bene, perché sono cresciuti tra le macerie di quella che gli storici hanno chiamato “la lunga guerra civile europea”. Il conflitto, incentrato sullo scontro tra Francia e Germania, è iniziato nel 1870 e si è protratto fino al 1945, lasciandosi alle spalle due guerre mondiali. Chi appartiene alla generazione successiva, invece, ricorda bene l’aspetto dell’Europa spaccata in due dalla “cortina di ferro”, come la definì Churchill.

Oggi appare incredibile che le democrazie che già  allora appartenevano alla Comunità  europea – condividendo valori politici e sistemi economici, unite nell’Alleanza atlantica e pronte a lottare spalla a spalla – ci abbiano messo così tanto a cancellare le loro frontiere, unificare le loro valute e sopprimere i controlli doganali. Ai giorni nostri i giovani europei danno per scontata la libertà  di muoversi e l’esistenza dell’euro, ma il mondo non si regge sugli stessi criteri.

Fortunatamente Alsazia e Lorena, Danzica, i monti Sudeti o il Danubio ormai sono soltanto luoghi di valore storico. Gli europei, nonostante i problemi che li affliggono, rivivono una sorta di “Pax Romana”, ma con una differenza fondamentale: mentre la “romanizzazione” fu imposta con il ferro e il fuoco e contro la volontà  dei popoli che abitavano l’Europa, la “Pax Europea” si è affermata pacificamente grazie al diritto, alla democrazia e al rispetto dell’identità  dei popoli.

È importante ricordare che le frontiere […] non si sono estinte da sole e non sono scomparse per cause naturali. Il muro di Berlino è caduto per volontà  dei cittadini della Germania orientale, che hanno scelto di votare con i piedi e camminare fino alle ambasciate tedesche e occidentali a Budapest e Praga, ma anche grazie alla lungimiranza di alcuni leader come l’allora ministro degli esteri ungherese Gyla Horn, che tagliò personalmente con una cesoia la rete che separava l’Austria dall’Ungheria. L’esistenza di un orgoglio europeo è perfettamente legittima, perché pur con tutte le sue difficoltà  questo processo è ancora vivo in Europa. Quando Immanuel Kant parlava di “pace perpetua” tra i popoli indicava qualcosa che somiglia molto ciò che l’Unione europea è riuscita a realizzare.

Invasioni di carta

I britannici con la loro Armata, i francesi con gli eserciti napoleonici, i tedeschi con le Panzerdivisionen: gli europei hanno passato interi secoli cercando di dominarsi a vicenda. Ora hanno trovato un modo molto più sottile di invadere i paesi: si chiama “acquis comunitario”, e indica il corpus della legislazione comunitaria. In questo modo, anziché entrare con i soldati in un paese, l’Unione europea invia duecentomila pagine di regolamenti che lo stato in questione dovrà  incorporare nel suo ordinamento interno. Nonostante questo, per entrare c’è la fila: la Croazia diventerà  uno stato membro l’anno prossimo; la Turchia, anche se continua a subire cocenti umiliazioni, cerca ancora di concludere i negoziati di adesione, e in attesa ci sono anche Macedonia, Albania, Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina e Kosovo.

Sono queste le prossime frontiere che vedremo sparire se il progetto europeo resterà  in piedi. Poi toccherà  allo spazio post-sovietico, dalla Bielorussia (l’ultima dittatura europea) fino al Caucaso, martoriato da conflitti congelati, e all’estremità  meridionale del Mediterraneo. […] Spesso si dice che l’Europa è diventata un attore irrilevante a livello mondiale. In un certo senso si tratta di una critica giustificata, ma queste fotografie mostrano che l’irrilevanza, se porta con se la scomparsa delle frontiere tra gli stati e delle divisioni tra le persone, è un compito nobile a cui forse dovrebbero dedicarsi anche gli altri.

Traduzione di Leslie Talaga


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