Usa, salta il compromesso Verso il «baratro fiscale»

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Gli Stati Uniti hanno fatto ieri un passo deciso verso lo «strapiombo fiscale» (fiscal cliff) che preoccupa l’economia americana da mesi. Si tratta dell’aumento delle tasse e dei tagli automatici di spesa che potrebbero scattare a Capodanno. E il partito repubblicano, che al Congresso è apparso diviso e con tattiche confuse, rischia di apparire come il responsabile di una crisi che, se non controllata, potrebbe assumere caratteri gravi e portare a una recessione nel 2013.
È successo che lo speaker della Camera dei rappresentanti, il repubblicano John Boehner, da una decina di giorni sta tenendo colloqui serrati con il presidente Barack Obama per evitare che l’economia subisca un drenaggio di 600 miliardi di dollari nel 2013. Pareva che le posizioni si stessero avvicinando. Con alle spalle un partito che però rumoreggia e che in maggioranza avversa ogni aumento delle aliquote sui redditi, nella notte di giovedì ha tentato un colpo di mano per far passare la sua proposta di mediazione alla Camera: i suoi compagni di partito non hanno però capito o non lo hanno voluto seguire e quindi il suo «piano B» è crollato su se stesso (lo ha dovuto ritirare). Ora, anche la trattativa con il presidente e con i democratici è bloccata.
La questione è la seguente. Obama, che ha appena vinto le elezioni, si sente legittimato a evitare il fiscal cliff sulla base della legislazione che aveva presentato durante la campagna presidenziale: un taglio limitato alle spese e una riduzione delle tasse per tutti coloro che guadagnano meno di 250 mila dollari l’anno, le classi medie, mentre per gli altri il carico fiscale aumenterebbe perché il 31 dicembre scadono i tagli effettuati dall’amministrazione di George Bush e confermati solo per due anni da Obama nel 2010. I repubblicani — che hanno la maggioranza alla Camera — da sempre chiedono invece più tagli e nessun aumento delle tasse per tutti. Durante la trattativa per trovare un compromesso, la Casa Bianca ha proposto di alzare da 250 a 400 mila dollari il livello di reddito oltre il quale aumenterebbero le aliquote. Boehner ha controproposto un piano B nel quale il livello veniva alzato a un milione. E giovedì notte la leadership repubblicana ha tentato il colpo di mano per farlo passare alla Camera. Senza l’appoggio dei democratici e soprattutto con un gruppo di repubblicani antitasse che non l’hanno sostenuta, l’iniziativa è però implosa. Ora, le probabilità  che l’economia Usa scivoli nel precipizio aumentano. Se non sarà  raggiunto un accordo nei prossimi dieci giorni, tagli e tasse scatteranno in gennaio ma gradualmente: il Congresso e la Casa Bianca potranno intervenire anche successivamente, sempre che trovino un accordo. «L’economia inizia a riprendersi e non è il momento di infliggersi delle ferite — ha detto nella notte il presidente —. Ho chiesto ai leader del Congresso di lavorare a un piano che prevenga un aumento delle tasse per la classe media. È un obiettivo raggiungibile in 10 giorni». Il problema sta però nel fatto che l’incertezza, soprattutto sulla parte fiscale, quella più rilevante, trattiene da mesi consumatori e imprese dall’investire: non sapere quale sarà  l’onere fiscale dell’anno prossimo è un forte disincentivo. Se lo stallo andasse avanti per mesi, tagli e tasse pari al 4% del Pil e l’incertezza porterebbero quasi certamente l’economia in recessione: infatti ieri Wall Street ha chiuso in ribasso; il Dow Jones ha registrato un calo dello 0,91%. Per questo i leader dei due partiti, sia alla Camera che al Senato, si sono impegnati a riprendere i colloqui prima di fine anno.
Boehner rischia ora di non essere rieletto speaker a inizio gennaio. Ma, ancora di più, la vicenda ha messo in mostra due cose. Che repubblicani e democratici sono su strade politiche e ideologiche che divergono anche dopo le recenti elezioni. E che nel partito repubblicano lo spirito antitasse e sospettoso di Obama non solo resta forte ma è in grado di bloccare ogni «cedimento» alle posizioni della Casa Bianca.


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