Verso il voto di gennaio, ultradestra in testa

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GERUSALEMME. Litigano, si alleano, si insultano, si fanno lo sgambetto, insomma fanno di tutto e di più, proprio come i loro colleghi italiani. Ma nessuno dei leader del centrosinistra israeliano possiede i numeri e il potenziale per abbattere la fortezza volante Likud-Yisrael Beitenu costruita dal premier Netanyahu e che vola verso il successo elettorale del prossimo 22 gennaio. I sondaggi successivi alla presentazione, due giorni fa, delle liste elettorali sono impietosi. L’opinione pubblica israeliana, che già  da alcuni anni ha virato con decisione a destra, premierà  generosamente la linea dell’attuale governo a trazione ultranazionalista, nonostante (l’apparente) isolamento internazionale di Israele, innescato dal primo ministro con il rilancio della colonizzazione dei Territori occupati dopo il voto Onu della scorsa settimana favorevole allo Stato di Palestina.
A nulla è servito il clamoroso passaggio al nuovo partito HaTnua, fondato dall’ex ministro degli esteri Tzipi Livni, di Amir Peretz, il più operaista dei dirigenti laburisti. Secondo un sondaggio pubblicato ieri dal quotidiano Maariv, Netanyahu e il suo alleato dell’ultradestra, il ministro degli esteri Avidgor Lieberman, conquisteranno almeno 38 seggi. Ai tre partiti della destra religiosa ebraica andrebbero 31 posti. Dall’altra parte dello schieramento politico, Livni e Peretz non andranno oltre i 10 seggi mentre i laburisti capeggiati dall’ex giornalista Shelly Yachimovitch dovrebbero ottenere una ventina di parlamentari. Kadima, attuale principale partito di opposizione, potrebbe sparire, al massimo conquisterà  un paio di seggi, così come il Meretz (sinistra sionista). Gli altri si spartiranno le briciole mentre i partiti arabi, che rappresentano la minoranza palestinese in Israele, dovrebbero confermare quella decina di seggi che già  hanno alla Knesset.
Volendo dar credito alle rilevazioni statistiche, la destra israeliana, in tutte le sue forme, si ritroverà  dopo il voto con una settantina di parlamentari sui 120 della Knesset. Una maggioranza solida con la quale Netanyahu e Lieberman potranno continuare a tutto gas la colonizzazione di Cisgiordania e Gerusalemme Est – per impedire la nascita di quello Stato di Palestina che oggi esiste solo sulla carta alle Nazioni Unite – e forse mettere in atto l’attacco alle centrali atomiche iraniane di cui si parla da mesi se non da anni. Tutto ciò con l’approvazione degli israeliani che ignorano la politica economica del governo in carica, che sta affamando larghi strati della popolazione, e invece premiano Netanyahu per il suo pugno di ferro contro i palestinesi che chiedono libertà  e fine dell’occupazione.
A spingere in alto il primo ministro è stata anche la recente offensiva «Colonna di Fumo» contro Gaza: almeno 170 palestinesi uccisi, molti dei quali donne e bambini (sette sono stati i morti israeliani per i lanci di razzi da Gaza). Proprio ieri Human Rights Watch ha duramente condannato Israele per la strage della famiglia al-Dalu e dei loro vicini di casa – 12 morti, quasi tutti donne e bambini – compiuta il 18 novembre da una bomba sganciata da un F-16 contro un palazzo di cinque piani a Gaza city.
La campagna elettorale, con i giochi che sembrano già  fatti, stenta a decollare e i giornali che speravano in battaglie politiche più frizzanti, per vendere qualche copia in più sbattono in prima pagina il confronto (anche personale) tra donne, tra Yachimovitch e Livni. In assenza di qualsiasi programma del centrosinistra per contrastare la politica estera di Netanyahu, l’argomento di discussione è diventato l’ambiguità  di Yachimovitch verso una possibile alleanza con Netanyahu dopo le elezioni, che la leader laburista non esclude (specie se all’orizzonte c’è la guerra all’Iran). Un atteggiamento che ha spinto Peretz tra le braccia di Tzipi Livni. Quest’ultima, è bene sottolinearlo, non ha avanzato alcun programma alternativo a quello del premier, si limita a escludere un’alleanza di governo tra il suo partito e il Likud. Un centrosinistra inutilmente litigioso e terribilmente senza idee che la penna ruvida di Gideon Levy non ha tardato a criticare sulle pagine di Haaretz. «I laburisti sono diventati un partito di centro – ha sottolineato Levy – un altro partito di centro come voleva chi lo dirige. Tuttavia HaTnua non è diventato un partito di sinistra perciò la scelta di Peretz è inutile e dannosa. Ha azzerato ogni possibilità  di costituire un partito moderato di sinistra».
A conferma del disinteresse della maggioranza degli israeliani verso le beghe del centrosinistra c’è anche il silenzio che accompagna il ritiro dalle scene del ministro della difesa (ed ex capo di stato maggiore) Ehud Barak, uno degli uomini politici più potenti. Anche lui un ex leader laburista, che ha condizionato in negativo le possibilità  di un accordo credibile tra israeliani e palestinesi.


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