“A Mosca mi vogliono morto” L’addio del signore dei missili

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MOSCA — Che ci faceva un giovane ingegnere missilistico russo in un campo profughi olandese? E perché una mattina i suoi compagni lo hanno trovato impiccato? Che intendeva dire quando scriveva a sua madre: «Non posso tornare in patria da traditore»? Quanto basta per creare un nuovo caso internazionale che evoca la torbida vicenda dell’ex spia Aleksandr Litvinenko avvelenato in un ristorante di Londra nel 2006. O quella più recente di Sergej Magnitskij, avvocato morto misteriosamente in un carcere di Mosca tre anni fa, subito dopo aver accusato una banda di funzionari protetta dal governo.
Questa volta però il copione è leggermente diverso. I servizi segreti russi non sono gli unici sospettati. Sul banco virtuale degli imputati ci sono anche la cinica ottusità  della burocrazia olandese e i servizi segreti della Nato interessati a carpire i segreti militari in possesso dell’ingegnere. Storia tragica che comincia il 6 maggio sulla piazza Bolotnaja di Mosca. Nel parco che un tempo gli zar destinavano alle esecuzioni pubbliche, la polizia carica una folla di manifestanti anti Putin. Finiscono in manette per qualche ora i soliti volti noti dell’opposizione. Ma c’è anche un debuttante: Aleksandr Dolmatov, 36 anni, ingegnere spaziale. Lavora come capo progettista presso la MAI, Armamenti missilistici tattici, un’azienda che lavora per il governo nella città  satellite di Koroljov nei pressi di Mosca. Il suo rango è classificato al più basso gradino di sicurezza ma è comunque un lavoro delicato. Preoccupa anche la sua appartenenza ad “Altra Russia”, il partito nazionalbolscevico di Eduard Limonov, lo scrittore maledetto reso famoso da un romanzo di Carrére, eternamente sospettato di terrorismo. La polizia decide di perquisire senza preavviso l’appartamento di Dolmatov. Lui scappa.
In Olanda spera di ottenere l’asilo politico come dissidente perseguitato dal governo russo. Resta cinque mesi in un campo profughi di ‘s-Gravendeel a trenta chilometri da Rotterdam. Là  dove l’Olanda smette di essere terra di mulini e tulipani per trasformarsi in aree grigie di reticolati e poliziotti ossessionati dall’invasione degli immigrati clandestini. Dolmatov è sorpreso dalla freddezza delle autorità  olandesi. I rapporti tra Mosca e Amsterdam sono in forte miglioramento. «Proprio l’esistenza di oppositori — ragiona acrobaticamente una fonte anonima del governo olandese — è segno che in Russia si sta dando spazio al dissenso». E l’asilo politico diventa ben presto una chimera. Intanto Dolmatov racconta per sms e twitter ai suoi conoscenti russi di essere pressato da misteriosi personaggi per rivelare segreti militari. Dice di non averne, ma è preoccupato ugualmente. Confida a uno degli amici più cari: «Sono marchiato. Più mi tengono qui e più mi fanno pressioni, e più in Russia penseranno che sto rivelando qualcosa. Basta poco per essere condannato per tradimento».
La paura si fa ancora più concreta all’inizio dell’anno nuovo. In attesa della scontata sentenza di rifiuto dell’asilo politico la macchina delle espulsioni olandese si porta avanti con il lavoro e trasferisce Dolmatov nel carcere per immigrati all’interno dell’aeroporto di Rotterdam, proprio di fronte agli imbarchi per Mosca. Dolmatov scrive una lunga lettera alla madre. E muore. «Suicidio per depressione », sentenziano in Olanda. «Esigiamo spiegazioni», risponde perentorio il ministero degli Esteri russo. La madre dice che il figlio era tormentato ma non al punto di uccidersi. Racconta che era pressato dai servizi olandesi e minacciato da quelli russi. E scrive a sua volta una lettera accorata alla Regina Beatrice chiedendo giustizia. La Regina risponde, si dice addolorata, provvederà .
Negli Usa, sempre pronti di questi tempi ad accusare la Russia, si raccolgono ventimila firme per chiedere una “lista Dolmatov”, un elenco di funzionari olandesi coinvolti nella morte dell’ingegnere. A Mosca invece l’opposizione crede che sia stata una mano russa a chiudere la bocca per sempre al loro compagno di lotta. Un anonimo blogger sentenzia: «L’opposizione impari la lezione. Nessuno ci aiuterà  mai dall’estero. Aiutano i ladri, i miliardari, le spie. Ma la gente onesta no».


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