Al voto con l’Agenda Amnesty

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Se si esclude Casa Pound, la Lega e qualche altra pseudo albadorata nostrana, forse a parole nessuno, tra i circa 7000 candidati delle prossime elezioni, potrà  negare l’adesione all’«Agenda in 10 punti per i diritti umani» stilata da Amnesty international. Il primo a dire sì è stato ieri sera Nichi Vendola che si è impegnato a «tradurre concretamente in parlamento queste parole». Ma la campagna nazionale «Ricordati che devi rispondere», lanciata ieri dalla sezione italiana dell’organizzazione, non si limita a pretendere dai leader delle coalizioni e delle forze politiche in lizza una presa di posizione esplicita e pubblica per ciascuno dei dieci punti programmatici su «L’Italia e i diritti umani». «Da oggi e per i prossimi cinque anni – annuncia Carlotta Sami, direttrice generale di Amnesty Italia – monitoreremo e vigileremo sull’attuazione dei punti programmatici eventualmente condivisi da ciascun politico. Ma al momento nessun programma elettorale presentato contiene quelli che noi consideriamo imprescindibili passi da fare per garantire il rispetto dei diritti umani nel nostro Paese».
Un Paese che si è distinto in Europa e nel mondo per la violazione del reato di tortura – a Genova nel luglio 2001 e sui detenuti ogni giorno, come testimonia la recente condanna della Corte di Strasburgo -, o per il trattamento riservato ai rifugiati, agli immigrati e alle etnie rom e sinti; per l’omofobia dilagante e sistemica; per il femminicidio e la violenza contro lo donne; per la florida industria di armi, mine antiuomo, aerei e elicotteri da combattimento di produzione italiana; per l’iperliberismo che concede alle multinazionali nostrane di calpestare ogni diritto. «Essere donne, partecipare a una manifestazione, essere migranti, rom, gay, detenuti, significa in Italia correre un serio rischio – scrive Amnesty – In tempi di crisi economica, con l’aumento delle tensioni sociali da una parte e, dall’altra, l’accento della politica sulle sole questioni finanziarie, questa situazione tende ad aggravarsi». E invece c’è da noi, come nota la presidente Christine Weise, «una disattenzione storica verso i diritti umani, un atteggiamento di superficialità , e l’argomento viene trattato sempre in modo generico e fumoso. Nei discorsi dei politici italiani spesso manca una cultura dei diritti umani, ancora oggi non c’è la dovuta serietà  e si tende a considerarlo un tema che non riguarda l’Italia ma altri Paesi». Ecco perché l’organizzazione internationale utilizzerà  le sue «solide relazioni istituzionali» per contattare personalmente ciascun candidato e ottenere un sì o un no esplicito ai 10 punti programmatici. Vediamoli.
Garantire la trasparenza delle forze di polizia e introdurre il reato di tortura nel codice penale, come imposto dal Protocollo opzionale alla Convenzione Onu ratificato dall’Italia solo l’anno scorso. «A quasi 12 anni dal G8 di Genova – è l’analisi di AI – molti dei responsabili sono sfuggiti alla giustizia e in Italia ancora mancano importanti strumenti per la prevenzione e la punizione delle violazioni, necessari affinché tutte le forze di polizia siano riconosciute come attori di protezione, trasparenti e responsabili del proprio operato. Nel frattempo, molti altri casi che chiamano in causa la responsabilità  delle forze di polizia sono emersi e, purtroppo, continuano a emergere». Fermare il femminicidio e la violenza contro le donne. Come? «Ratificando la convenzione del Consiglio d’Europa – spiega Sami – garantendo più risorse ai centri antiviolenza, lanciando campagne di sensibilizzazione e adottando una legge specifica sulla parità  di genere e di contrasto alla violenza, come quella sullo stalking che ha dato buoni frutti». Proteggere i rifugiati, fermare lo sfruttamento e la criminalizzazione dei migranti e sospendere gli accordi con la Libia sul controllo dell’immigrazione. Per fare ciò «è necessario abrogare la norma del pacchetto sicurezza che criminalizza l’ingresso e il soggiorno illegali», «riportare i Cie in linea con gli obblighi internazionali», «garantire l’accesso di rifugiati e asilanti dando priorità  al salvataggio in mare» (almeno 1500 persone annegate nel Mediterraneo nel 2011), e «sospendere ogni accordo esistente con la Libia». Per assicurare condizioni dignitose e rispettose dei diritti umani nelle carceri, però, Amnesty non ha proposte specifiche: non si schiera in nessun modo né sull’amnistia né sul piano di edilizia penitenziaria e neppure sulla legge Fini-Giovanardi, ma si limita a ricordare la condanna europea e a indicare un maggior uso di misure alternative alla detenzione, la depenalizzazione dei reati minori e la possibilità  di ottenere un risarcimento per chi ha subito trattamenti disumani e degradanti. Combattere l’omofobia e la transfobia e garantire tutti i diritti umani alle persone Lgbti (la I sta per intersessuate) è diventato ormai una necessità , visto che «negli ultimi anni, attacchi verbali e fisici nei confronti di persone Lgbti si sono verificati in Italia con preoccupante frequenza, mentre diversi esponenti politici e istituzionali hanno continuato a fomentare un clima d’intolleranza e di odio con dichiarazioni palesemente omofobiche». Alle vittime dell’omofobia «va assicurato il pieno accesso alla giustizia» anche attraverso «aggravanti simili a quelle previste dalla legge Mancino», precisa la direttrice Sani. Lotta alle discriminazioni vuol dire anche «matrimonio per le coppie omosessuali» e «modifica dei documenti anagrafici per rappresentare adeguatamente l’identità  di genere». Fermare la discriminazione, gli sgomberi forzati e la segregazione etnica dei rom rese possibili da un clima avvelenato da anni di politiche xenofobe e di campagne mediatiche all’insegna dell’«emergenza nomadi». Inoltre vanno rimossi «gli ostacoli discriminatori per i rom nell’accesso all’edilizia residenziale pubblica». Amnesty poi chiede di creare un’istituzione nazionale indipendente per la protezione dei diritti umani in linea con i Principi di Parigi, che intervenga per esempio su aziende «come l’Eni, il cui operato si si ripercuote sulla vita di ampie fasce di popolazione, anche in Paesi lontani». Insomma, bisogna imporre alle multinazionali italiane il rispetto dei diritti umani subordinando a tale condizione il supporto economico. Infine, occorre lottare contro la pena di morte nel mondo e promuovere i diritti umani nei rapporti con gli altri Stati. Cominciando col garantire il controllo sul commercio delle armi favorendo l’adozione di un trattato internazionale.


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