Ambrosoli e gli indagati in lista «Via chi sarà  rinviato a giudizio»

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MILANO — «Ho chiesto ai candidati delle liste che mi sostengono di firmare una lettera che li impegna a dimettersi nel caso in cui venissero rinviati a giudizio». Nel giorno in cui cominciano ad arrivare ai consiglieri lombardi di Pd, Sel, Idv, Udc e Pensionati, gli avvisi di garanzia per l’uso dei rimborsi spesa, Umberto Ambrosoli, candidato Governatore per il Patto civico di centrosinistra, cerca di uscire dall’angolo rilanciando sul tema della legalità  e della trasparenza, suoi cavalli di battaglia.
Un segnale netto, anche perché Ambrosoli aveva promesso che non avrebbe avuto indagati nelle sue liste. E se la squadra civica che porta il suo nome non ha nessuno coinvolto in questa inchiesta, quelle di Pd, Sel e Centro popolare Lombardo risultano da ieri «macchiate». Dovranno così firmare l’impegno a dimettersi se rinviati a giudizio Alessandro Alfieri, già  vice coordinatore regionale pd lombardo, così come il capogruppo pd Luca Gaffuri e la vicepresidente del consiglio regionale Sara Valmaggi: ma anche Chiara Cremonesi, capogruppo di Sel, Enrico Marcora e Valerio Bettoni che hanno lasciato l’Udc per fondare il Centro Popolare Lombardo e presentare una lista di sostegno ad Ambrosoli. «Firmiamo, non ci sono problemi», assicurano i capigruppo parlando a nome di tutti. Tutti tranquilli perché nelle montagne di pezzi di carta che la Guardia di finanza ha passato al setaccio e che riguardano esponenti del centrosinistra, di questa o delle passate legislature, non ci sono situazioni abnormi. Cifre molto, molto più contenute di quelle contestate al centrodestra e spese per lo più destinate a pranzi, alberghi e viaggi.
Fatti i dovuti distinguo, però, Ambrosoli tiene duro sulla sua linea di rigore e replica a chi, nel centrodestra, lo accusa di non usare oggi gli stessi toni polemici che aveva sbandierato contro i consiglieri di Pdl e Lega indagati per i rimborsi: «Noi non abbiamo parlato di giustizia a orologeria, né abbiamo avuto un atteggiamento di garantismo di convenienza. Non ho difeso una parte. Al verificarsi di una situazione di rischio, al percepire un problema, abbiamo agito per risolverlo».
«È la profonda differenza tra la nostra cultura garantista e la loro giustizialista», accusa invece il Governatore Roberto Formigoni che non perde l’occasione per affondare il coltello e sfidare il sindaco Giuliano Pisapia: «Ripeta parola per parola i suoi giudizi molto chiari e pesanti rivolti ai consiglieri del centrodestra indagati. Altrimenti, avremo la prova che Pisapia è un doppiopesista. Così come mi aspetto la stessa gogna mediatica cui siamo stati sottoposti per settimane». A suo tempo, Pisapia aveva spiegato che quella indagine rappresentava «un ulteriore colpo alla credibilità  della giunta e della maggioranza». «Non ho mai cambiato idea — replica oggi il sindaco — sono sempre stato e sono ancora garantista. Delle vicende giudiziarie deve occuparsi la magistratura, il mio è sempre stato un giudizio esclusivamente politico, un giudizio fortemente negativo visto che nella giunta regionale ci sono stati numerosi casi giudiziari con un assessore addirittura accusato di aver comperato i voti della ‘ndrangheta».
La vicenda infiamma così la campagna elettorale lombarda. Tutti i candidati promettono che, dopo il loro insediamento, rivedranno il regolamento sull’uso dei rimborsi di gruppi e consiglieri. Roberto Maroni ironizza via Facebook: «Caro Ambrosoli, come la mettiamo con la promessa natalizia di liste senza indagati? Casciaball cosmico». Ambrosoli ribatte: «Dopo 20 anni di politica, i Bond della Tanzania, il Trota, non hai più pudore». Gabriele Albertini ricorda invece che il suo Movimento Lombardia Civica «a garanzia degli elettori, all’atto della candidatura ha fatto accettare a ogni membro della lista, oltre che i contenuti del nostro programma anche una Carta di Intenti a garanzia della correttezza e dell’eticità  dei loro comportamenti».


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