America Latina terra di conquista mineraria

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Insieme all’aumento delle attività  minerarie, c’è da aspettarsi un inasprimento della conflittualità  sociale, perché là  dove sorgono cave, pozzi e miniere, le popolazioni subiscono danni alla salute e all’ambiente in cui vivono. Secondo l’Osservatorio sui conflitti minerari in America Latina, nel continente sono 165 le lotte portate avanti dalle comunità  locali per difendersi dall’inquinamento.

“Con l’aumento del prezzo delle materie prime – spiega Flaviano Bianchini, ambientalista trentenne e responsabile dell’organizzazione non governativa Source – molte imprese estrattive si sono spostate verso i paesi in via di sviluppo, per sfruttare nuovi giacimenti di metalli e petrolio e godere di enormi vantaggi, sia di tipo economico che tecnico, come la deregolamentazione sulle tematiche ambientali. Questo ha portato, in particolare in America Latina, a un aumento esponenziale della presenza di industrie estrattive”. Per esempio nel 2004, nella foresta amazzonica peruviana, le concessioni petrolifere erano 14, diventate 67 nel 2010; la percentuale di territorio in cui possono muoversi le multinazionali, secondo Source, è salita in sei anni dall’8 a oltre l’80.

Oppure in Guatemala ci sono più di 400 concessioni minerarie su terre abitate da popolazioni Maya.

Un caso esemplare di quanto può causare l’estrazione mineraria e l’attività  industriale ad essa legata si trova a La Oroya, una cittadina andina situata nel centro del Perù, in una zona ricca di rame, zinco, argento e oro. Uno studio della Saint Louis University commissionato dal ministero della Salute peruviano ha dimostrato che lì l’estrazione mineraria e il lavoro di una fonderia attiva da novant’anni causano una presenza di metalli pesanti nel sangue della popolazione ben oltre i limiti tollerabili. Ad esempio il 98 per cento dei bambini tra i sei mesi e i dodici anni ha troppo piombo nelle vene, come il 70 per cento del resto della popolazione (l’area è abitata da 35mila persone).

Nel sud del Perù, al confine con il Cile, Source sta lavorando insieme alla comunità  dei Toquepala, che lamenta carenza d’acqua e malattie provocate dall’inquinamento di quella disponibile, a causa dell’attività  di un’impresa che lì estrae rame da trent’anni.

Anche i metalli preziosi non sono innocui. “Nelle comunità  della Valle di Siria, vicine alla miniera d’oro di San Martà­n in Honduras – continua Bianchini – il 98 per cento della popolazione soffre di malattie della pelle e la mortalità  infantile è 25 volte più alta della media nazionale”.

L’Africa è un altro continente in cui opera la ong Source e in cui l’estrazione mineraria è in continua espansione. Secondo quanto riportato dall’Environmental justice organisations, liabilities and trade, il 98 per cento dell’inquinamento atmosferico e l’86 per cento dei rifiuti dell’Africa intera sono causati da una sola nazione, principalmente per l’industria mineraria: il Sudafrica. Lo stesso Paese in cui lo scorso agosto 34 minatori sono stati uccisi dalla polizia durante una manifestazione in cui chiedevano aumenti salariali.

Estrazione mineraria e conflitti sociali sono un binomio che in Congo trova massima espressione, visto che la guerra civile nel nord è finanziata dall’estrazione del coltan, minerale fondamentale per prodotti tecnologici, come i telefoni cellulari. Il coltan esce dal Paese illegalmente e poi viene comprato dalle grandi aziende, e proprio per la poca trasparenza nel settore minerario, il mese scorso il Fondo monetario internazionale ha tolto al Congo i finanziamenti.

Per questo si vorrebbe creare insieme ad altre associazioni un network che faccia pressione sulle grandi aziende perché adottino una certificazione sulla provenienza del coltan.

In Senegal, su richiesta di alcune associazioni locali, Bianchini e colleghi stanno analizzando la legge mineraria in discussione al Parlamento per dare un parere tecnico (ad esempio su come trattare le rocce di scarto).

Daniele Ferro


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