Evviva la «Grande Francia» O ritorno della «Franà§afrique»?

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A giorni di distanza, si conferma il sollievo con il quale, l’11 gennaio, l’opinione pubblica del Mali e delle nazioni limitrofe ha accolto la notizia della missione militare Serval predisposta dalla Francia.
In apparenza, saremmo lontani dalla logica della Franà§afrique e la stampa dell’Africa francofona lo dichiara. Il quotidiano Le 22 septembre (Mali) ha salutato l’appoggio della «Grande Francia», mentre l’omologo Le Républicain si è pronunciato a favore di «Hollande il maliano». Il giornale Le Pays (Burkina Faso) ha sostenuto che è impossibile «lamentarsi a ragione» dell’intervento salvifico della Francia. Il sito Infos (Guinea-Conakry) ha parlato di «motivi per sperare in bene», pur insistendo sulla necessità  di un’efficace collaborazione dei militari africani. Certo, fra le tante lodi, vi sono anche voci discordanti, come quella di La nouvelle tribune (Benin) che ha bollato la Francia in quanto «super gendarme dell’Africa» (F. Couteau, Rfi, 14-1-13).
Un fatto appare innegabile: l’azione militare rientra nel quadro della legalità  internazionale e risponde alla richiesta di aiuto del presidente ad interim Diacounda Traoré. Il parlamento di Bamako, riunito il 17 gennaio, ha «omaggiato la prontezza con cui l’esercito francese è intervenuto» e – come riporta il quotidiano locale L’Indépendant (18-1-13) – i deputati dell’emiciclo hanno «condannato gli atti contrari ai diritti umani commessi nelle regioni del nord, invitando il governo ad avviare le procedure giudiziarie in materia».
Originario di Niafunké (Mali settentrionale), fra i possibili candidati alle prossime presidenziali, il politico Soumaà¯la Cissé – in un’intervista concessa a Dakar all’Afp (18-1-13) – parla «di un cammino di speranza… L’importante è che si limitino al minimo i danni collaterali… che si torni ad una vita istituzionale normale, che si arrivi presto alle elezioni… Bisogna che le popolazioni del nord votino in condizioni di trasparenza e ineccepibili».
La gravità  della crisi non ha, comunque, cancellato l’ironia dei media maliani. Un testo di Mali demain (18-1-13) recita: «Silenzio, ora! Siamo in guerra. È un affare serio… Lo stato d’urgenza decretato… conferisce al governo ogni potere… Le libertà  non sono più libere di esercitarsi appieno (si pensi al diritto di espressione, di manifestazione, di circolazione). Stavolta il conflitto è a casa nostra». Gli fa eco un pezzo di L’Enquàªteur: «La Francia, vecchia potenza, agente finanziario delle economie in deliquescenza delle ex colonie, stato padrino sia delle élites che hanno esercitato il loro corrotto potere in Mali, sia dei dirigenti più accettabili del Senegal, sia di quelli più sanguinari di Burkina Faso, Ciad, Centrafrica e dei due Congo, protettrice dei governi illegittimi del Gabon, del Togo, della Guinea, della Costa d’Avorio, e di quelli ormai moribondi del Benin e del Niger, non deve impegnarsi in una guerra… senza essere sicura di vincerla in modo pulito e senza ambiguità ».
Dagli stati confinanti emergono soprattutto i timori verso un’epidemia islamista, come spiega il quotidiano senegalese Walfadjiri-L’Aurore (18-1-13): «Il conflitto maliano minaccia la pace e la sicurezza dell’Africa occidentale. Niger, Libia e Nigeria ne subiscono già  le conseguenze. È riguardo ai forti rischi di contagio per il nostro paese, che il Senegal deve avviare una riflessione attenta… Sebbene nessun gruppo organizzato o campo di esercitazione jihadista sia stato identificato in terra senegalese, bisogna constatare che delle velleità  in tal senso, da sorvegliare da vicino, sono purtroppo presenti». Analoga l’analisi del giornale nigerino Le Républicain (18-1-13) che, riprendendo le parole del presidente del parlamento di Niamey, Hama Amadou, «deplora le insinuazioni religiose di certi compatrioti, intossicati dalla perniciosa propaganda di agenti-predicatori… che invitano all’astensione rispetto all’andare in guerra contro dei musulmani che si battono in nome della fede».
Ma Walfadjiri-L’Aurore tocca anche un nodo cruciale: «La crisi in Mali rappresenta una minaccia per gli interessi economici dell’Europa. L’intervento militare non è un’opera di “beneficenza”… La Francia non dispone di riserve di uranio ma è il primo esportatore di energia nucleare al mondo. In Niger, sfrutta da sessant’anni gigantesche miniere di uranio attraverso il gruppo Areva» e intende proteggerle, favorendo nuove prospezioni.
Dall’Algeria, Le Quotidien d’Oran (19-1-13) riconosce come «sia illusorio presumere che gli eserciti africani facciano da staffetta alle truppe francesi. L’Africa non possiede né i mezzi tecnologici, né quelli logistici o organizzativi per coordinare una struttura multinazionale, ma ancor meno dispone dell’intelligenza politica per trattare un problema di tale natura».
Fra le voci di dissenso all’intervento francese, segnaliamo un editoriale del quotidiano mauritano Alakhbar (19-1-13), che scomoda la storia antica per dimostrare come gli eventi si ripetano: «Nel 341 a.C., Demostene tentava di aprire gli occhi agli ateniesi contro le offensive di pace di Filippo il Macedone, sostenendo che gli avversari, armi alla mano e circondati da forze considerevoli, invocano la parola “pace” ma praticano atti di guerra. Filippo il Macedone aveva, lui stesso, i suoi afghani, somali, libici, maliani e, come insegna Demostene, aveva promesso ai poveri abitanti dell’Esponto d’inviare delle truppe amiche per salvarli». Come ha poi mantenuto la parola?
* antropologa e responsabile dell’editrice L’Harmattan Italia


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