Haiti: tre anni dopo il sisma è ancora emergenza

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In un Paese fra i più poveri dell’America Latina, già  provato da instabilità  e insicurezza, il sisma ha aumentato le difficoltà  del popolo haitiano e 36 mesi dopo, nonostante l’impegno nella ricostruzione del Paese di centinaia di ong, ad Haiti migliaia di persone si trovano ancora in rifugi precari, l’assistenza sanitaria è insufficiente e circa 10 milioni di persone (di cui circa 2 milioni nella capitale) vive al di sotto della soglia di povertà .

Amnesty International ha chiesto in questi giorni alle autorità  haitiane e alla comunità  internazionale di considerare la questione degli alloggi in via prioritaria visto che solo una piccola parte dei fondi promessi dai donatori è stata assegnata a progetti edilizi.
 Attualmente, 350.000 persone vivono ancora nei 496 campi distribuiti su tutto il paese e secondo le testimonianze raccolte da Amnesty, le condizioni di vita nelle tendopoli stanno peggiorando: “si registra una forte difficoltà  nell’accesso all’acqua, ai servizi igienici e ai sistemi di raccolta dei rifiuti, circostanze che hanno contribuito alla diffusione di malattie infettive. Le donne e le ragazze rischiano stupri e altre forme di violenza sessuale”.
 Come se non bastasse essere esposti all’insicurezza, alle malattie e agli uragani, molte persone che vivono nelle tendopoli sono costantemente a rischio di essere sgomberate con la forza. “Dopo il terremoto oltre 60.000 persone hanno subito sgomberi forzati dalle tendopoli e altri 80.000 haitiani che vivono in campi allestiti prevalentemente su terreni privati rischiano lo sgombero”.
 
Secondo Amnesty, “le iniziative del Governo di Haiti sembrano al momento più interessate a impedire alle vittime del terremoto di vivere in luoghi pubblici piuttosto che a fornire loro alloggi sicuri”.

Ma non è solo la mancanza di alloggi a preoccupare. La partenza di molte ong nel 2011 e la diminuzione dei finanziamenti hanno peggiorato le condizioni di vita non supportate da un sistema sanitario adeguato visto che la maggior parte degli ospedali nella zona del terremoto è ancora distrutto o gravemente danneggiato. PerJoan Arnan, capo missione di Medici Senza Frontiere (Msf) “Il processo di transizione è troppo lento. Questo accade perché le istituzioni haitiane sono deboli, i donatori non hanno mantenuto le loro promesse, i Governi e la comunità  internazionale hanno fallito nello stabilire delle priorità  chiare”. La debole risposta all’epidemia di colera, l’altra catastrofe che ha colpito Haiti nel 2010, dimostra i ritardi nella ripresa del sistema sanitario che ha dovuto affrontare ricorrenti ricadute in seguito al passaggio degli uragani Isaac e Sandy dello scorso autunno, quando le piogge hanno causato lo straripamento delle fogne a cielo aperto, provocando la diffusione dei batteri che causano la malattia. Ancora oggi “la maggior parte della popolazione non ha accesso a servizi igienici adeguati e il trattamento del colera non è ancora stato completamente integrato nelle poche strutture di sanità  pubblica esistenti” ha spiegato Arnan.

Per tamponare l’emergenza Msf, subito dopo il terremoto, ha messo in piedi un ospedale da campo per assistere i sopravvissuti al sisma a Léogà¢ne, la città  più vicina all’epicentro del sisma. Attualmente la struttura organizzata in container per il trasporto marittimo “Colma una lacuna che esisteva da molto prima del terremoto”, ha concluso Arnan. “La maggior parte degli haitiani non aveva accesso all’assistenza sanitaria già  prima del 12 gennaio 2010, sia a causa della mancanza di servizi disponibili, sia perché non aveva denaro a sufficienza. Noi abbiamo risposto alla catastrofe e intendiamo rimanere fino a quando la ricostruzione non sarà  terminata e le strutture di sanità  pubblica potranno subentrare. Sfortunatamente sono passati tre anni e non è cambiato quasi nulla, in termini di accesso alle cure”.

Oggi ci ha ricordato il Vis – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo impegnato da subito affianco alla Comunità  Salesiana nelle attività  di ricostruzione e sostegno a favore delle persone più vulnerabili “Haiti è al 158° posto su 187 Paesi monitorati dall’Rapporto sullo Sviluppo Umano e il suo Indice di Sviluppo è pari allo 0,454, contro uno 0,731 per la zona dei Caraibi e dell’America Latina, collocandosi così nel gruppo dei Paesi a più basso sviluppo umano […] Il 53,6 per cento della popolazione vive in zone rurali e la maggior parte si trova in condizioni di povertà  perché l’agricoltura non produce a sufficienza per far fronte ai bisogni alimentari della popolazione ed Haiti deve importare il 60 per cento del cibo necessario a sfamare gli haitiani”.

Ma non tutto è perduto. Nel quartiere di Croix-des-Bouquets si stanno sviluppando i progetti del “Future 4 Haiti” la cordata italiana che mette insieme CaritasCroce RossaFondazione Fondiaria SAIFondazione Marcegaglia e i Missionari Scalabriniani che mira al reinsediamento degli sfollati dal terremoto e al miglioramento della loro qualità  di vita coinvolgendo la popolazione locale secondo l’orientamento “dell’imparare facendo”. Oggi nell’area della Missione Scalabriniana una scuola per 600 studenti sta segnando il futuro e un Poliambulatorio affronta i problemi sanitari della popolazione accanto ad un nuovo progetto finalizzato all’aggregazione, alla capacità  di collaborazione e alla ricostruzione non solo materiale ed economica, ma anche sociale del proprio Paese. Ecco perché le ong rimaste non vanno abbandonate e i donatori, i governi e la comunità  internazionale devono impegnarsi a garantire agli haitiani la possibilità  di farsi carico del proprio futuro e forse “…nonostante tutte le sofferenze, Haiti si rialzerà ”.

Alessandro Graziadei


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