I black bloc esistono davvero: sono pochi e non organizzati

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Un nuovo imprevedibile elemento si è inserito nell’onda di disordini politici in Egitto: un misterioso gruppo di giovani mascherati, chiamato black bloc, si presenta come difensore dei manifestanti che si oppongono al governo islamista del presidente. Si vantano di voler utilizzare la forza per respingere gli islamisti che in passato hanno attaccato i manifestanti o contro la polizia che reprime le manifestazioni. Questi giovani che nascondono il viso dietro maschere nere da wrestler, sono apparsi tra i dimostranti che lanciavano pietre negli scontri con la polizia durante gli ultimi cinque giorni in cui un’ondata di violenza politica ha scosso l’intero paese.
Durante le proteste dello scorso lunedì al Cairo, giovani mascherati hanno festeggiato attorno ai blindati della polizia in fiamme al centro di piazza Tahrir, agitando le mani con le due dita alzate in segno di vittoria. La loro apparizione ha provocato anche le preoccupazioni di alcuni membri dell’opposizione, i quali temono che il gruppo possa scatenare la rappresaglia degli islamisti o che si possano infiltrare nei loro movimenti. I sostenitori islamisti del presidente Mohammad Morsi hanno definito il gruppo una milizia cominciando a dipingere l’opposizione come una forza violenta che demolisce il paese. Inoltre, alcuni islamisti hanno minacciato in risposta di formare dei gruppi di vigilanza creando il potenziale per una spirale di violenza tra «milizie» rivali.
I black bloc egiziani si ispirerebbero agli omonimi gruppi anarchici esistenti in Europa e negli Stati uniti e che hanno partecipato alle proteste anti globalizzazione durante l’ultimo decennio. In Egitto, la segretezza del gruppo e la struttura volutamente disorganizzata rendono difficile stimarne le effettive dimensioni. Il gruppo comunica principalmente tramite i social media. Nessuno ha mai visto i volti dei suoi membri e la loro identità  resta anonima, dunque è difficile confermare l’autenticità  di chi pretende di parlare in loro nome. È anche impossibile stabilire se ogni giovane mascherato appartenga al blocco o se si tratti di un dimostrante che vuole semplicemente coprirsi il volto, o se addirittura questa distinzione conti davvero: a Tahrir, alcuni ambulanti vendevano maschere nere e i giovani si accalcavano per comprarle.
«Noi siamo i black bloc…vogliamo la liberazione del popolo, la fine della corruzione e la caduta del tiranno»: proclamava un video che annunciava la formazione del gruppo. Mostrava dei giovani vestiti di nero che marciavano in fila nella città  di Alessandria. «Ci siamo sollevati per fronteggiare il tiranno fascista del regime dei Fratelli musulmani e la sua ala militare», diceva il video, intimando alla polizia di non intervenire «altrimenti risponderemo senza esitazione». Uno studente universitario di nome Sherif el-Sherafi ha dichiarato di essere uno dei fondatori del gruppo in un’intervista al giornale el-Watan, sebbene le sue affermazioni non possano essere confermate indipendentemente. Sherif ha anche sostenuto che il gruppo è composto da circa 10.000 attivisti in tutto il paese. I membri vengono addestrati all’autodifesa e a fronteggiare i lacrimogeni. (…)
Hossam al-Hamalawy, noto blogger e attivista di sinistra, ha dichiarato che i giovani dei black bloc «sono sinceri, vogliono il cambiamento e hanno visto molti dei loro amici uccisi». Secondo Hamalawy, per questo hanno deciso di occuparsi di sicurezza. Poi però ha aggiunto che «potrebbe essere pericoloso per la rivoluzione» avvertendo che «questo potrebbe portare le persone a prendere le armi». (…) Gli affiliati dicono che il gruppo è stato creato in risposta agli scontri del 4 dicembre, quando sostenitori dei Fratelli musulmani hanno attaccato un sit-in di protesta davanti al palazzo presidenziale, scatenando ore di guerriglia urbana che hanno lasciato sul terreno almeno dieci morti e centinaia di feriti. Molti esponenti dell’opposizione hanno visto questo incidente come il punto di svolta: un segno che gli islamisti e la Fratellanza vogliono utilizzare la violenza contro chi critica il presidente.

*(tratto da Associated Press, traduzione Saverio Leopardi)


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