Il terreno minato del futuro governo

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L’Istat ha comunicato un ‘inflazione annua del 3%. Inflazione ufficiale, naturalmente, ma già  da sola dà  la misura di uno sconvolgimento senza precedenti dell’economia nazionale. Ma come, un Paese in cui il Pil scende del 2%, la disoccupazione dilaga a livelli di dopoguerra, il potere di acquisto della popolazione regredisce di decenni, migliaia di imprese chiudono i battenti, noi abbiamo un aumento dei prezzi di beni necessari di tale misura? I montiani collocati in tutto l’arco costituzionale – come si diceva una volta – hanno di che gloriarsi.
Queste considerazioni costituiscono la premessa indispensabile per alcune riflessioni politiche che riguardano la sinistra nel suo insieme, ma in primo luogo il centro-sinistra. Non c’è dubbio, tanto per cominciare, che quest’ultimo – se sarà  chiamato a governare, come speriamo – erediterà  un paese in condizioni peggiori di quanto non fosse un anno fa. In aggiunta esso dovrà  fare i conti con la gabbia d’acciaio – alla cui costruzione ha dato un volenteroso contributo – del fiscal compact, su cui si è appena soffermato Luciano Gallino (repubblica dell’ 8 gennaio). E’ uno svantaggio di partenza enorme, sia per l’insieme dei problemi urgenti che si presentano, sia per come si configureranno i rapporti tra i partiti. CONTINUA | PAGINA 15
È già  evidente, da queste prime battute di campagna elettorale, che le forze politiche che hanno condotto l’Italia alle attuali condizioni, e tra queste anche Monti, si libereranno di ogni responsabilità  pregressa. Si presenteranno e già  si presentano come oppositori di lungo corso, che mai hanno messo piede nelle stanze di palazzo Chigi. E’ prevedibile che tale situazione politica venga aggravata da due componenti, in parte oggettive e in parte psicologiche. Le pretese delle masse popolari in condizioni di crescente disagio saranno maggiori nei confronti del centro-sinistra, più incalzanti di quanto non siano stati con i precedenti governi. A dispetto dei “buoni uffici” che può svolgere la Cgil. Anche perché le condizioni sociali si sono nel frattempo deteriorate: ciò che prima era grave oggi è intollerabile. Ci sarà  poco tempo, al governo sarà  concessa poca attesa. Il tempo che c’era per attenuare le punte più aspre delle sofferenze se l’è mangiato il governo Monti, impiegandolo per renderle ancora più estreme. Al tempo stesso, la psicologia da eterni penitenti degli ex comunisti, che si considerano sempre sotto esame di ortodossia da parte dei poteri europei, li porterà  ad essere più realisti del re e a muoversi nel recinto della suddetta gabbia. Se il centro-destra si sposterà , come già  sta facendo, su una strumentale posizione di critica antiliberista e realisticamente antieuropea (dell’ Europa della Troika) le difficoltà  politiche del centro-sinistra, già  in campagna elettorale, aumenteranno di giorno in giorno. Ma potrebbero costringerlo ad assumere finalmente un profilo più smarcato dalle varie agende neoliberiste. Se perfino Monti prova a smarcarsi dal suo precedente governo!
Entro queste strettoie le possibilità  di un qualche successo del centro-sinistra e della sinistra intera sono affidate innanzi tutto a una capacità  di manovra con i paesi del Sud d’Europa e della Francia, che li metta in condizioni di rinegoziare il debito e spingere la Bce ad un nuovo ruolo: condizione per uscire dalla turbolenza finanziaria e per puntare a una nuova architettura istituzionale dell’Unione. Ma il centro sinistra e la sinistra – che mi auguro possa avere anche una presenza in parlamento – debbono invertire la rotta con iniziative interne mirate soprattutto ad alleviare le condizioni di sofferenza sociale diffuse nel paese. Con la consapevolezza che siamo in grave ritardo. Ricordo un particolare non da poco. Non è da ieri che le varie forze politiche della sinistra sono consapevoli che il problema centrale dell’Italia (e del nostro tempo) è il lavoro, l’occupazione. Ebbene, non dovevano queste forze, già  da qualche anno, chiamare a raccolta le migliori intelligenze della nazione per studiare soluzioni, proposte, vie d’uscita, strategie di medio e lungo periodo? Non dovevano richiamare l’attenzione di tutte le classi dirigenti con una iniziativa anche simbolicamente dirompente? Non è mai successo. L’unica iniziativa di tal genere l’ha realizzata ALBA, un piccola e nascente formazione politica, priva di mezzi, ai primi di ottobre dello scorso anno. «Un po’ di lavoro» suole ripetere Pierluigi Bersani, come un tempo i mendichi chiedevano » sugli usci delle case. Se si resta a questo non si andrà  lontano. Io credo che gli sgravi fiscali sul lavoro, l’eliminazione di barriere burocratiche vessatorie alla costituzione di imprese, e altre misure consimili possano, certo, avere degli effetti benefici. Ma è una illusione credere che da qui passi la “ripresa” e ritorni la piena occupazione. Sappiamo già  dalla storia recente degli Usa – che pure oggi sta facendo una politica opposta a quella della Ue – che la ripresa è jobless recovery, cioé senza occupazione. E’ accaduto già  ai primi anni ’90, sta accadendo anche oggi malgrado i fiumi di denaro a buon mercato profusi dalla Federal Reserve e la crescita del Pil. La ripresa economica, la cosiddetta crescita, avviene soprattutto tramite incremento della produttività  del lavoro (sostituzione di uomini con macchine, oltre che con intensificazione della fatica degli occupati) e quindi il nuovo lavoro che nasce è ». Questo rinvia a una incapacità  sistemica ormai conclamata del capitale e alla necessità  di una nostra consapevolezza di prospettiva: il vecchio modello di accumulazione non regge. Genera sempre meno occupazione e turbolenza finanziaria endemica. Consapevolezza da tenere ben presente anche per gli interventi immediati, che riguardano il nostro dannato presente. E sotto tale profilo l’istituzione di un reddito di cittadinanza – avanzata a modo suo persino dall’algido Monti – costituisce il nesso che lega la prospettiva strategica alla rivendicazione immediata. Oggi appare come un passaggio obbligato se si vuole separare reddito da occupazione (che non c’è), lavoro da dignità  umana, prestazione produttiva da godimento dei diritti ed esercizio della democrazia. E’ una necessità  per lo stesso capitalismo in questa fase tarda della sua storia. Per noi dovrebbe costituire uno degli elementi da inserire nella costellazione dei diritti universali, nuova energia cosmopolita – come ci ricorda Stefano Rodotà  nel suo ultimo libro – che spinge le comunità  umane ad abbattere vecchie gerarchie e ad affrontare con buone armi i poteri che si sono liberati dei controlli degli Stati nazionali.
C’è un altro versante di problemi immediati su cui intervenire. Mi riferisco al mondo della scuola, dell’Università  e della ricerca. Non è più tollerabile che le strutture fondanti di grande paese industriale, della nostra stessa civiltà , siano considerate come fonti di spreco da punire e demolire. Su questo punto, nei primi 100 giorni il governo che verrà  dovrà  dare segnali inequivocabili in termini di risorse e di mutamento radicale di indirizzo politico. Tale scelta necessaria non costituisce soltanto la premessa di una strategia di alto profilo, impegnata a delineare un nuovo modello di economia, ma rappresenta la condizione indispensabile per dare un segnale immediato di speranza a milioni di giovani. Studenti che vogliono proseguire gli studi, laureati, dottori, ricercatori che oggi sono senza mezzi e prospettive. Fornire a tali figure un ruolo da protagonisti non solo significa, per l’avvenire, ricercare un superiore assetto alla nostra società  di capitalismo maturo, ma dare subito ai nostri ragazzi, alla classe dirigente in formazione, il senso di un mutamento generale in cui credere e a cui appassionarsi. Chi appoggerà  nel paese un governo che si limita ai piccoli passi e a indolori aggiustamenti, mentre la sofferenza sociale dilaga ? La politica si fa certo », ma anche suscitando passioni, inserendo anche le giuste piccole cose in un quadro d’insieme: una prospettiva che faccia intravedere orizzonti più larghi, mete plausibili di cambiamento generale per le quali si è disposti a lavorare e a resistere. Sotto tale profilo non c’è dubbio che il problema del lavoro e quello della formazione, della cultura e della ricerca, trovano il punto d’incontro in una prospettiva d’insieme: la riconversione ecologica dell’apparato produttivo. La qual cosa in Italia significa, soprattutto (ma non solo), un nuovo rapporto tra economie e territorio. La sfida di porci entri i marosi del mercato mondiale con una nostra specifica forza economica che conservi saperi e bellezze, che tuteli il suolo e gli abitati e che nello stesso tempo offra lavoro produttivo e di restauro è una partita di grande respiro. Già  da sola potrebbe offrire a tutta la sinistra un’occasione di unità  di intenti e al tempo stesso un vessillo identitario dietro cui trascinare masse sociali, istituzioni, imprese. I movimenti sono già  attivi in vario e frammentario modo su tale terreno. Costituiscono le esperienze politiche più originali della storia italiana recente. Da essi, i partiti hanno molto da imparare in termini di procedure e di competenze acquisite sul campo. Ma devono mettere da parte la logica delle grandi opere. In tale ambito le opere devono essere piccole e innumerevoli, in grado di dare lavoro, non attraverso il saccheggio una tantum del territorio, ma tramite la sua cura e la sua valorizzazione permanente.
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