In Mali la guerra del «gattopardo»

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PARIGI. Dopo il via libera all’operazione «Serval» (Gattopardo africano) in Mali, la Francia teme ritorsioni terroristiche in patria e passa allo stato di allerta massima nei trasporti e nella protezione degli edifici pubblici. Ieri, alla fine di un lungo consiglio di guerra, il presidente Hollande ha affermato che ci sono state «forti perdite» nelle prime 36 ore di intervento in Mali, dove ci sono varie migliaia di militari francesi. Parigi ha attaccato nel nord del Mali con i caccia Mirage di base in Ciad, usando anche aerei di ricognizione ed elicotteri. Nella controffensiva dei ribelli, il pilota di un elicottero è stato ucciso. Ma la Francia, ha detto Hollande, non ha interessi particolari da difendere tranne la lotta contro il terrorismo.
Il presidente trasformato in chef de guerre si è felicitato per l’union sacrée della politica francese. La destra infatti, malgrado la sfida della manifestazione di oggi contro il matrimonio gay, ha approvato la scelta del presidente di intervenire in Mali. Unità  senza divisioni per l’ex primo ministro Franà§ois Fillon, intervento «legittimo» pur con qualche distinguo per Marine Le Pen.
A sinistra invece qualche malumore c’è. Il Ps approva mentre Europa Ecologia-Verdi, alleati di governo, hanno «preso atto» della decisione di Hollande ma restano dubbiosi e soprattutto deplorano che non ci sia stato un dibattito preventivo in parlamento.
Rispettando la legge, il parlamento sarà  investito dell’intervento in Mali domani, ha precisato il primo ministro Jean-Marc Ayrault, mentre il responsabile degli esteri, Laurent Fabius, si è difeso invocando invocando la ragion di stato e la necessità  dell’effetto sorpresa per le operazioni militari. Il Verde Noà«l Mamère ha la sensazione «di essere tornato ai vecchi metodi della Franà§afrique», il tradizionale legame tra potenza coloniale ed ex colonie. Per Mamère, Hollande si comporta come Sarkozy anche se non si può «non essere d’accordo sulla volontà  di fermare la progressione di Al Qaeda (Aqmi) che sviluppa idee fascisteggianti». Per questo non parteciperà  al voto in parlamento. Per Jean-Luc Mélenchon del Front de gauche l’ «interesse dell’intervento militare esterno per risolvere i problemi del nord del Mali è discutibile», mentre è «condannabile» il fatto di non aver interpellato il parlamento prima di decidere l’azione. Per Philippe Poitou e Olivier Besancenot dell’Npa, infine, si tratta di «un intervento imperialista».
Hollande ha rinunciato ad inaugurare a Marsiglia le celebrazioni per l’anno della «capitale europea della cultura» e ha riunito un lungo consiglio di guerra. Un altro è previsto per oggi. Ieri sera ha ricevuto il presidente della Commissione José Manuel Barroso (che entrando nel meeting ha detto di «sostenere la coraggiosa azione delle truppe francesi in Mali e Somalia»). Sul tavolo dei due l’adattamento della missione Ue, prevista da tempo, che avrebbe dovuto essere limitata ad addestrare i militari del Mali. In ballo ora c’è la possibilità  di coinvolgere gli altri paesi Ue, con il dispiegamento di battle group, cioè della forza di reazione rapida dell’Unione.
In Germania però c’è già  malumore, perché nemmeno Berlino è stata informata preventivamente malgrado sia il paese che più contribuisce al sostegno finanziario a favore dell’esercito del Mali. La Francia ha però incassato l’appoggio degli Usa che invieranno sul campo un «sostegno logistico», in particolare i droni per la sorveglianza di un territorio che è grande due volte la Francia.
La Comunità  economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) ha deciso di inviare in Mali un contingente internazionale di 3.300 uomini. Ieri hanno promesso altri 500 soldati ciascuno il Burkina Faso e il Niger, mentre la Nigeria ha inviato a Bamako un contingente dell’aeronautica per il supporto logistico.
Hollande è stato particolarmente attento a presentare l’operazione francese nel quadro della risoluzione 2085 dell’Onu e in risposta alla lettera del presidente Traoré, che ha chiesto aiuto a Parigi. Il precipitare degli eventi – l’avanzata dei ribelli del nord alleati dei Tuareg, la conquista di Konna, la «porta del deserto», il timore di un crollo dello stato maliano – evidentemente ha spinto Hollande ad abbandonare la strategia lead from behind, cioè dirigere discretamente stando nelle retrovie.


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