Israele, prove di coalizione Lapid apre a Netanyahu

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GERUSALEMME — La prima buona notizia per Benjamin Netanyahu arriva da chi gli ha portato tutte le cattive della notte elettorale. Yair Lapid — la sorpresa del voto con 19 seggi e il secondo posto — non vuole formare un blocco contro di lui.
È quello che gli proponeva la leader laburista Shelly Yachimovich e l’ex giornalista televisivo aspetta le 8 di sera (massimo ascolto) per recapitare la risposta: «Non possiamo affidarci ad Hanin Zoabi», commenta davanti al cortile di casa riferendosi alla parlamentare araba di sinistra. Perché se è vero che il conteggio quasi finale assegna la stessa forza alle due coalizioni (60 e 60) il centrosinistra dovrebbe basarsi sull’appoggio dei partiti arabi (e Lapid l’aveva già  escluso). Così via alle trattative con il primo ministro uscente, che spera di raggranellare un altro seggio per il suo Likud-Beitenu dai voti dei soldati ancora da calcolare.
Netanyahu elenca le priorità  del nuovo possibile governo e sembra ricopiare la piattaforma di Yesh Atid (C’è un futuro), sono gli stessi obiettivi ripetuti da Lapid durante la campagna elettorale: una legge che obblighi anche gli studenti delle scuole rabbiniche a prestare il servizio militare, ridurre i prezzi degli alloggi, riformare il sistema statale. Non parla di riaprire i negoziati di pace con i palestinesi — come da Washington gli chiede la Casa Bianca — e non risponde al messaggio che arriva dall’Autorità  in Cisgiordania: «Siamo pronti a trattare con qualunque governo ci riconosca».
Avigdor Lieberman (l’alleato ultranazionalista di Netanyahu) vorrebbe affidare al nuovo arrivato Lapid le questioni interne, compresa la grana di raddrizzare un deficit di bilancio raddoppiato rispetto alle previsioni (40 miliardi di shekels, circa 8 miliardi di euro). Dice di considerarlo «il candidato naturale a ministro delle Finanze» (intende: la gente lo ha votato, risolva lui i problemi) ed è anche una mossa per allontanare Lapid dalla guida degli Esteri, dove il leader degli immigrati dall’ex Unione Sovietica vorrebbe tornare se riuscirà  a sistemare le vicende giudiziarie.
«L’analisi di queste elezioni — scrive Nahum Barnea su Yedioth Ahronoth — offre importanti lezioni sulla società  israeliana. Chi pensava che la protesta dell’estate 2011 fosse stata smantellata come le tende dei manifestanti si è sbagliato. Allora sono stati piantati dei semi che sono germogliati nelle urne martedì, dove si è convogliato il disgusto per i giochi politici». Netanyahu vede stamattina Eli Yishai, che guida il partito ultraortodosso Shas, e contatterà  Naftali Bennett di Focolare Ebraico (tutti e due hanno 11 deputati).
Il premier uscente deve scegliere se formare una coalizione centrista — come gli elettori gli hanno indicato — o se imboccare un percorso contando sulla destra religiosa. «Bibi ha salvato il posto di lavoro — commenta Yossi Verter sul giornale liberal Haaretz — ma tenere insieme i pezzi del governo sarà  ancora più difficile. È consapevole che una squadra formata solo da oltranzisti e ultranazionalisti sarebbe la fine della sua carriera politica».


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