L’accusa sugli ex vertici Mps «Associazione a delinquere»

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ROMA — Al vertice del Monte dei Paschi di Siena c’era una vera e propria associazione a delinquere. È la convinzione dei pubblici ministeri che hanno fatto scattare questa nuova e gravissima accusa nei confronti dell’ex presidente Giuseppe Mussari, dell’ex direttore generale Antonio Vigni, dell’ex capo dell’Area finanza Gianluca Baldassarri e del suo vice Alessandro Toccafondi, oltre a quei manager che si occuparono dell’acquisto di Antonveneta e delle successive operazioni finanziarie collegate a quell’affare. Tutti d’accordo, secondo gli inquirenti, siglarono quel patto segreto con i vertici del Banco Santander per truccare i conti e far salire il prezzo provocando una plusvalenza di oltre due miliardi di lire.
Ai reati specifici di aggiotaggio, false comunicazioni, turbativa e truffa si aggiunge dunque una contestazione che lega i presunti comportamenti illeciti in un unico disegno criminale. La base per un’accelerazione dell’indagine che appare ormai imminente.
Già  questa mattina i magistrati potrebbero ottenere indizi utili con l’interrogatorio di alcuni testimoni ritenuti preziosi per ricostruire quanto accadde dal 2007 in poi. Si comincia con i contatti e gli accordi preliminari presi tra Mps e Santander, per arrivare al contratto da un miliardo di euro siglato con Jp Morgan e poi a quelle operazioni sui derivati tenute segrete anche per gli azionisti. Manovre finanziarie e speculative che hanno creato una voragine nei conti di Mps costringendo i manager rimasti in carica fino all’aprile 2012 a cercare strade alternative, spesso ulteriormente rischiose, per cercare di ripianare il debito.
Al termine di questa prima tornata, dovranno essere proprio gli indagati a dover fornire la propria versione dei fatti. A spiegare perché nel novembre 2007 decisero di pagare Antonveneta 9,3 miliardi di euro — oltre a versare un miliardo di oneri — mentre appena due mesi prima Santander l’aveva comprata per 6,3 miliardi di euro.
E potrebbero essere costretti a farlo non soltanto a Siena. Un’altro fascicolo, al momento contro ignoti, è stato aperto a Trani. Il reato ipotizzato è l’omesso controllo e questo fa presumere che gli accertamenti si indirizzeranno verso le autorità  di vigilanza, vale a dire Bankitalia e Consob.
Ieri, dopo il crollo della Borsa e la caduta libera del titolo Mps, il procuratore di Siena Tito Salerno ha voluto evidenziare come «il contesto investigativo è sensibile e complesso esclusivamente rispetto al ruolo svolto nei fatti oggetto di indagine dal precedente management». Appena 24 ore prima aveva parlato di situazione «esplosiva e incandescente visto che l’indagine riguarda il terzo gruppo bancario italiano» e dunque una precisazione è stata ritenuta doverosa per evitare di alimentare il panico. Anche tenendo conto che negli ultimi giorni molti correntisti si sono presentati agli sportelli per avere informazioni, talvolta intenzionati a prelevare i propri averi. Non appare affatto causale che il capo dell’ufficio abbia voluto precisare al termine della sua nota che «nessuna informazione è stata, né sarà  diffusa in considerazione del rispetto dovuto al segreto investigativo, al mercato ed ai risparmiatori».
Il clima è incandescente, anche a livello politico. I magistrati sanno bene che qualsiasi iniziativa potrebbe essere strumentalizzata. Ma questo non ferma gli accertamenti affidati al Nucleo di Polizia valutaria che continuano l’esame della documentazione acquisita con le perquisizioni del 9 maggio scorso. In quell’occasione furono sequestrati tutti gli accordi tra Mps e la cordata di istituti di credito guidata da Jp Morgan che aveva accettato di finanziare la banca senese per far rimanere a livello 8 i «ratios patrimoniali» e così dare via libera all’operazione Antonveneta. E anche Mps fu indagata per violazione dell’articolo 231, dunque per responsabilità  amministrativa.
Poco o nulla rispetto a quanto è poi emerso in seguito, con contestazioni gravissime che disegnano l’esistenza di una vera e propria «cupola» alla guida della banca. Manager guidati da Mussari e Vigni che avrebbero pianificato gli investimenti senza informare gli azionisti e soprattutto rispondendo con relazioni «non veritiere» alle richieste di chiarimenti e delucidazioni che arrivavano da Palazzo Koch.
Fiorenza Sarzanini


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