«Cupola a Parma», arrestato l’ex sindaco

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PARMA — Quando c’era qualcuno da convincere per certe operazioni, i suoi dicevano: «Guarda che lo vuole il Papa…». Ora «Il Papa», al secolo Pietro Vignali, 44 anni, fino al 2011 sindaco di Parma alla guida di una giunta che amava definirsi «civico-berlusconiana» — ma che in realtà  era legata a doppio filo ad Arcore, se è vero, parole del procuratore capo Gerardo Laguardia, che «alcuni degli arrestati chiesero aiuto a Letta, Alfano e Ghedini, cercando di interferire con le indagini attraverso interrogazioni parlamentari e richieste di ispezioni e lo stesso Vignali si servì della ex escort Nadia Macrì per riallacciare i rapporti con Berlusconi» — beh, ora Vignali, oltre a non essere più «Papa», non è nemmeno un uomo libero: da ieri è agli arresti domiciliari per corruzione e peculato.
È accusato, assieme all’uomo forte del Pdl in Regione e a Parma, Luigi Giuseppe Villani, 57 anni, a un alto dirigente di una società  partecipata, Andrea Costa, 62, e all’imprenditore, Angelo Buzzi, 59 anni, di aver creato una sorta di Cupola sulla città  ducale: «Un sistema di potere dalle finalità  private, finanziato con soldi pubblici per diversi milioni di euro» ha affermato il procuratore, facendo cadere l’ultimo mattone di una demolizione che, negli scorsi due anni, sotto l’incalzare delle inchieste (Green Money 1 e 2, Easy Money, Stop Money: storie di tangenti e altro), ha mandato all’aria la giunta Vignali (si dimise nel 2011), scoperchiato un maxi debito in Comune tra i 600 e gli 800 milioni, lasciando la città  in mano al commissario fino alla vittoria del grillino Pizzarotti.
«L’obiettivo di Vignali era il controllo della Cosa pubblica» sostengono ora gli inquirenti. Un controllo capillare: dalle nomine (pilotate) ai vertici delle società  partecipate; a settori della stampa addomesticati (il caso del giornale Polis quotidiano, che, considerato ostile alla giunta, venne «normalizzato» attraverso un patto con l’editore Buzzi, a sua volta ricompensato con la vicepresidenza di una partecipata), fino a settori nevralgici («Dalle intercettazioni — ha detto Laguardia —, emergono interferenze nelle nomine del prefetto e del questore»).
Il sistema per accumulare fondi (sequestrati beni per 3,5 milioni) ruotava attorno a una coop nella quale confluivano i proventi degli appalti taroccati: i fondi venivano poi distribuiti tipo bancomat per le esigenze di Vignali. «La campagna del 2007 fu finanziata così». Una macchina per consensi che prevedeva consulenze fittizie, manipolazioni di appalti, campagne per l’immagine del sindaco («Maniacale la costruzione del profilo su Facebook»). Niente pareva potesse fermarla, nonostante le ripetute denunce in aula consiliare del capogruppo pd Giorgio Pagliari. Nulla era lasciato al caso. Alle ragazze che andavano casa per casa per la differenziata era stato ordinato «di nominare tre volte il nome Vignali». L’opinionista tv Klaus Davi (non indagato), che curava l’immagine, così giustificava le fatturazioni: «Ricerca sulla stampa riguardante la logistica della filiera agro-alimentare». Il dirigente Costa è accusato di aver commissionato con fondi pubblici uno studio «sulla capacità  isotopica del vino», essendo lui un appassionato del settore. Tra gli indagati, che sono 17, anche il presidente del Parma Calcio, Tommaso Ghirardi, e il patron di Parmacotto, Marco Rosi. Il primo, che si dichiara «estraneo», è accusato di aver utilizzato fondi della società  per aggiustare con Vignali il passaggio di un addetto stampa. Il secondo, che nega tutto («Fisiologici rapporti con il Comune»), di «aver pagato al sindaco un conto da 1.000 euro in hotel a Forte dei Marmi in cambio di una legge per un dehor del suo ristorante». Botta pesante per il Pdl. Villani, all’uscita dalla caserma, ha sibilato: «È iniziata la campagna elettorale». E il senatore Berselli, l’uomo delle interrogazioni ritenute ostili dalla Procura: «Intollerabile che si censurino gli atti di un parlamentare».


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