LE COLPE EUROPEE SU OCALAN

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Occultata e cancellata dai governi europei, con piena responsabilità  dell’Italia a partire dal 1998. Quando il governo di centrosinistra presieduto da Massimo D’Alema, nel disprezzo del diritto d’asilo previsto dalla nostra Costituzione che fra l’altro nega l’estradizione in relazione a reati politici, cacciò dall’Italia, riconsegnandolo di fatto nelle mani del regime di Ankara, Abdullah Ocalan, il leader del Pkk che fortunosamente aveva raggiunto Roma nell’intento di aprire un dialogo politico con il governo turco sull’autonomia del proprio popolo (nemmeno sull’indipendenza).
Non possiamo dimenticare la sua figura umile e forte insieme, dentro il presidio di una villa all’Infernetto di Roma, controllato in armi, «protetto» si sarebbe detto allora dai Servizi segreti italiani, mentre lancia l’appello al dialogo e alla tregua, pronto anche alla rinuncia alla lotta armata. Quel leader fu invece beffato, illuso e rinviato agli aguzzini del suo popolo, manco fosse un pacco.
La spedizione naturalmente era a cura dell’Alleanza atlantica, patto militare del quale Ankara è valido baluardo a sud-est e del quale l’Italia è degna rappresentante.
Da allora, dal febbraio 1999 ad oggi, non solo Ocalan è stato sempre rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Imrali dopo avere subìto un processo a dir poco sommario – non vede i suoi avvocati dal 27 luglio 2011 -, ma la lotta del popolo kurdo per quattordici anni è stata silenziata dai media internazionali. Nonostante le tante manifestazioni di massa e rivolte, le tragiche proteste nella forma delle disperate immolazioni di militanti, degli scioperi della fame dei detenuti, l’ultimo finito solo a metà  dicembre scorso. E nonostante infinite stragi. Giacché il governo turco di Reyyip Erdogan, che a parole ha fatto trapelare l’intenzione di una «trattativa» in carcere con lo stesso Ocalan, e che sempre a parole si ammanta del rispetto dei «diritti umani» per quel che riguarda la guerra civile in corso in Siria – solo negli ultimi quattro mesi ha invece assassinato in casa centinaia di kurdi, civili e combattenti in armi. Con la complicità  del silenzio europeo e occidentale.
Il governo francese, che ieri ha denunciato l’assassinio «insopportabile» delle tre donne kurde, dimentica che l’ex presidente Sarkozy è stato protagonista di una dura repressione contro gli esponenti kurdi, fino all’arresto dello stesso mediatore di Oslo.
Ora, nonostante gli sforzi del governo turco di rappresentare l’eccidio al centro culturale di Rue Lafayette come un «regolamento di conti», è probabile che dietro le tre uccisioni, portate a termine secondo le prime fonti di polizia «come esecuzioni professionali», ci sia proprio lo scenario interno turco, vale a dire la longa manus della Gladio turca, quello «stato profondo» contrario a qualunque colloquio con il Pkk. Mentre è confermato che i Servizi segreti hanno incontrato varie volte in carcere Ocalan nelle ultime settimane e che la settimana scorsa sono andati ad Imrali due deputati kurdi. Insomma, manovalanza dell’intelligence, ufficiale e/o deviata, o dei «vecchi» Lupi grigi.
Oppure jihadista o sedicente tale, ce n’è già  in abbondanza e direttamente al soldo dell’Occidente. Visto che sullo sfondo, dall’altra parte del conflitto che oppone Ankara ai kurdi, c’è anche la crisi siriana. Dove, contro l’evidente ingerenza militare della cosiddetta coalizione internazionale degli «Amici della Siria» la cui leadership è saldamente turco-atlantico-saudita, il regime di Assad ha di fatto allentato i controlli nei riguardi dell’opposizione kurdo-siriana del Pyd che è in qualche modo forza di sostegno legata – ma non è però la stessa cosa – al Pkk. Organizzazione quest’ultima, è bene ricordarlo, bandita come «terrorista» da quella stessa comunità  internazionale che sostiene con armi, mezzi e finanziamenti buona parte delle milizie islamiste che combattono in Siria.
A questo punto, di fronte al bagno di sangue nel cuore di Parigi, un’Unione europea degna di questo nome dovrebbe proteggere l’emigrazione politica e l’esilio anche di chi si oppone ad un governo «alleato». Cominciando a chiedere alla Turchia – che in parte si è messa in proprio e svolge un ruolo «egemone» e autonomo nell’area, ma in parte aspira ancora ad una candidatura a Bruxelles – in primo luogo il rispetto dei diritti delle minoranze, a partire dai kurdi che sono parte costitutiva del suo stesso popolo. Ma la politica estera europea e quella italiana sono saldamente e «democraticamente» nelle mani della Nato.


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