L’Europa, un macigno fra Usa e Londra

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NEW YORK — Chi ha accusato il governo americano di fomentare la crisi dell’euro usando gli speculatori di Wall Street come una clava e puntando a una deflagrazione dell’eurozona farebbe bene ad osservare quanto accade in questi giorni sull’asse Washington-Londra: l’ipotesi che la Gran Bretagna destabilizzi la Ue chiedendo di rinegoziare il suo ruolo nell’Unione e poi sottoponendo il nuovo accordo a un referendum sembra preoccupare gli americani molto più dei partner di Bruxelles. Tanto da spingere gli uomini di Obama a fare la voce grossa col governo britannico.
Washington preme discretamente da settimane su David Cameron affinché il premier — che ha annunciato da tempo e più volte rinviato un grande discorso sul rapporto con l’Europa — non comprometta il rapporto Londra-Bruxelles. Passi diplomatici divenuti improvvisamente pressioni incalzanti e pubbliche due giorni fa quando il sottosegretario agli Esteri Usa, Philip Gordon, ha tenuto una conferenza stampa nell’ambasciata americana a Londra nel corso della quale ha detto senza mezzi termini che, se facesse un passo indietro in Europa, Londra pagherebbe un prezzo elevato anche in termini di indebolimento della «special relationship», la relazione speciale che la lega agli Stati Uniti: un legame nei fatti secolare, codificato nel 1946 dall’allora premier, Winston Churchill, reduce da una guerra vinta a fianco degli Usa e con la madre americana.
Gli inglesi sono sempre stati orgogliosi del loro rapporto speciale con l’America, una carta che spesso hanno giocato anche a Bruxelles. Rabbrividiscono, quindi, nel sentirsi dire da un rappresentante dell’amministrazione Obama che per Washington è prioritario il rapporto con la Ue e che la «special relationship» vale in quanto può servire da cemento nei rapporti transatlantici.
Se così non è, per gli Stati Uniti diventa più importante rafforzare i rapporti con la Ue che con una Gran Bretagna isolazionista. Insorgono indipendentisti e conservatori britannici sorpresi da un’ingerenza del grande alleato nelle dispute politiche europee che appare insolita e irrituale. Gordon ha passato il segno? È possibile, ma la sua sortita riflette lo stato d’animo reale dell’amministrazione Usa. Che, stanca delle divisioni europee e dalla debolezza industriale e finanziaria del Vecchio Continente, guarda sempre più verso il Pacifico e l’Asia per costruire nuove occasioni di crescita economica.
Ma non per questo abbandona l’Europa al suo destino. Obama, anzi, adesso vorrebbe riequilibrare la sua politica lanciando una nuova, grande alleanza commerciale attraverso l’Atlantico: un patto per la creazione di un vero mercato unico euroamericano che piace anche ai leader europei, a cominciare da quelli di Germania e Francia. Il presidente vorrebbe annunciarlo nel discorso sullo Stato dell’Unione che pronuncerà  a fine gennaio.
Non è un progetto da poco: l’occasione storica con la quale Paesi che tuttora rappresentano più della metà  dell’economia mondiale possono abbattere le ultime barriere, recuperare produttività , creare condizioni di rilancio della domanda e unificare le regole creando un sistema di scambi ispirato ai valori dominanti dell’Occidente — legalità  e capitalismo democratico — che finirebbe poi per essere adottato anche nelle altre parti del mondo.
Un progetto e un negoziato che, per avere un senso, devono sfociare in un accordo in tempi brevi: al massimo a metà  del 2014, prima dell’elezione del nuovo Parlamento europeo e delle elezioni Usa di «mid-term». Più si aspetta e più il peso dell’Occidente cala: fra 10-15 anni le economie asiatiche saranno più forti di quelle dell’Europa e del Nord America messe insieme. Per questo Obama ha fretta e ha bisogno di un rapporto solido e diretto con una Bruxelles ancorata all’economia di mercato. La Gran Bretagna liberista è perfetta per garantire questo ruolo, ma se abbandona la nave europea Washington potrebbe lasciarla alla deriva, piuttosto che compromettere il rapporto con la Ue.
Incalzato da conservatori e indipendentisti, Cameron minimizza i contrasti con l’alleato americano: «Vogliamo le stesse cose di cui ha parlato Gordon», dice il suo portavoce. Ma i filo-Ue adesso ammoniscono: «Rischiamo di diventare un’isola sperduta in mezzo all’oceano».


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