Licenziati, separati, famiglie l’esercito dei nuovi senzatetto retrocessi dalla classe media

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ROMA — Anziani soli e con la pensione minima, lavoratori che non arrivano a fine mese, padri separati. Eccoli i nuovi senzatetto: non solo immigrati e non solo disoccupati. Dimenticate l’immagine romantica del clochard per scelta, del vecchio con barba lunga e sacca in spalla. La crisi cambia l’identikit dei “senza dimora” e ne ingrossa le fila, tanto che oggi c’è una città  grande come Mantova popolata solo da abitanti invisibili. È una città  senza neppure una casa, con 47.648 persone che sopravvivono tra mense e strutture d’accoglienza.
«Accanto agli storici clochard e cioè italiani 50enni, abituati a vivere da anni per strada, spesso con problemi psichiatrici o di alcolismo — racconta Paolo Pezzana, presidente della Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora (Fio.psd) — incontriamo sempre più “insospettabili” e perfino interi nuclei familiari». Purtroppo il registro dei senza fissa dimora, istituito nel 2010 dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, non ha mai funzionato, «perché — spiega Pezzana — molti comuni continuano a non aggiornare gli appositi registri anagrafici». L’unica indagine attendibile resta allora la ricerca Istat, Fio.psd, Caritas e ministero del Lavoro presentata alla fine dell’anno scorso.
Questi i risultati: i senzatetto che tra novembre e dicembre 2011 hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna sono stati 47.648. Il che porta a stimarne la popolazione complessiva in una forchetta che varia tra 43.425 e 51.872 persone. «Ma con la crisi i numeri stanno aumentando — avverte Pezzana — tanto che il ministero del Lavoro ha rifinanziato la ricerca anche per il 2013 e 2014».
I senza dimora sono per lo più uomini (86,9%), con meno di 45 anni (57,9%), nei due terzi dei casi hanno al massimo la licenza media inferiore. Tanti gli italiani, anche se la maggioranza è costituita da stranieri (59,4%): romeni (11,5%), marocchini (9,1%) e tunisini (5,7%). In media, le persone senza dimora sono in tale condizione da 2 anni e mezzo; quasi i due terzi (il 63,9%) prima di diventare homeless vivevano nella propria casa, gli altri si suddividono tra chi è passato per l’ospitalità  di amici o parenti (15,8%) e chi ha vissuto in istituti, strutture di detenzione o case di cura (13,2%). Più della metà  (il 58,5%) vive nel Nord. Record a Milano e Roma: qui risiede gran parte dei senzatetto.
E ancora: il 28,3% delle persone senza dimora dichiara di lavorare. Si tratta in gran parte di lavoro a termine, poco sicuro, saltuario, di bassa qualifica e che procura un guadagno medio di 347 euro mensili. Perché si finisce per strada? La perdita di un lavoro risulta tra gli eventi più rilevanti del percorso di emarginazione (nel 61,9% dei casi), insieme alla separazione dal coniuge (59,5%) e alle cattive condizioni di salute (16,2%). Insomma la popolazione dei senzatetto è in rapido e costante cambiamento, con conseguenze paradossali: «Al centro ascolto Caritas di Torino — racconta Pezzana — mi hanno detto che i clochard storici non vanno più, perché in fila ci sono troppe persone vestite bene, addirittura in giacca e cravatta, e loro si sentono a disagio».


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