L’indennità di disoccupazione andrà anche alla colf licenziata
ROMA — Il vecchietto che licenzia la badante trattato allo stesso modo della Fiat, la famiglia che cambia la baby-sitter dei bambini messa sullo stesso piano di una grande impresa che manda a casa gli operai. Quando si tratta di finanziare l’Aspi, il nuovo ammortizzatore sociale che ha debuttato a capodanno, per la riforma Fornero i datori di lavoro pari sono. Che rinuncino alla colf a ore o che chiudano il rapporto con centinaia di operai a tempo pieno.
Le regole fissate in caso di licenziamento non consensuale sono le stesse, ma tanta parità per le famiglie con collaboratore domestico «in regola», si traduce in una tranvata finanziaria che può arrivare fino a 1.451,40 euro da versare in tre anni. E – considerato che colf, baby-sitter o badante per molte famiglie non rappresentano più un lusso, ma l’unico modo per contenere i danni legati alla carenza dei servizi sociali il peso può essere davvero alto. Se n’è accorta l’Assindatcolf, l’associazione dei datori di lavoro legata a Confedilizia.
La legge Fornero prevede che ogni datore di lavoro debba finanziare l’Aspi e la mini-Aspi, le nuove indennità di disoccupazione che tutelano il dipendente dopo il licenziamento garantendogli un assegno per 15 mesi. Le norme valgono per tutti i contratti di lavoro, anche per quello domestico, senza tener conto della particolarità dei casi. Colf e badanti, per esempio – a differenza dei dipendenti di una grande azienda – possono essere assunti solo per poche ore a settimana, ma il contributo da versare all’Aspi sarà indipendente dal tempo di lavoro assicurato e dalla retribuzione percepita. La quota annua viene calcolata per tutti i datori di lavoro sul 41 per cento del massimo mensile previsto per Aspi, (1.180): quindi 483,80 euro da pagare fino ad un massimo di tre anni. Solo se il contratto ha durata inferiore all’anno il totale sarà diviso in mesi (per esempio nove mesi di contratto equivalgono ad in contributo da 362 euro). Il versamento è obbligatorio anche se il lavoratore non chiede l’Aspi e va effettuato per tutti i casi di licenziamento (a tempo indeterminato) avvenuti dopo il primo gennaio 2013 (anche per giusta causa e giustificato motivo). Non è dovuto solo nel caso in cui sia il lavoratore ad andarsene o ci sia un accordo consensuale, più difficile da raggiungere in periodi difficili come questo.
Così, il proprietario della magione di campagna che può ancora permettersi di assumere e cacciare la servitù pagherà lo stesso importo della vecchietta che non può più permettersi un aiuto in casa per poche ore alla settimana. O della giovane madre che per non rinunciare al lavoro assume una ragazza che prelevi il bimbo a scuola. «Molte famiglie che hanno regolarizzato i dipendenti saranno tentate dal ritorno al nero» commenta Teresa Benvenuto, segretario nazionale Assindatcolf. L’irregolarità del settore è già alle stelle: l’Inps che conferma l’interpretazione della legge Fornero elaborata dall’associazione, fa sapere che i collaboratori domestici in regola sono circa 750 mila, ma uno studio della Bocconi stima che quelli non in regola siano un milione. Assindatcolf chiede al Parlamento che verrà di rimediare alla «svista » modificando le regole. Punta ad escludere il lavoro domestico dal contributo o almeno a parametrare la quota da pagare al lavoro prestato e alla retribuzione ricevuta.
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