MA ADESSO IL PD SI RIPRENDA LA SCENA

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Il centro della scena elettorale è fragorosamente occupato dai perdenti designati, Berlusconi in testa. Mentre i probabili vincitori, Bersani e il Pd, non fanno notizia. Il Pd, primo partito accreditato di ampio margine sugli inseguitori, addirittura fa meno notizia non solo di Berlusconi, ma perfino di Monti, di Grillo e di Ingroia, col suo 4 o 5 per cento. Perché?
Una parte di responsabilità  l’abbiamo noi dei media. Vent’anni di berlusconismo hanno abituato tv e giornali a campagne elettorali dove i problemi reali sono banditi per lasciare il posto a un carnevale di trovate e annunci, un festival di gesti simbolici e battute. Un terreno sul quale il berlusconismo e i populismi nati al seguito sguazzano in allegria. Non saremmo qui a parlare tutti di Berlusconi se non vi fosse stato il duello rusticano ad Annozero che ha risollevato le sorti di un contendente ormai in teoria fuori gioco. Si è trattato di un puro evento televisivo, fatto di pantomime e sceneggiate, cioè di nulla. Nel corso della trasmissione, un mediocre avanspettacolo senza contenuti, non è emersa una sola novità  concreta sul programma del centrodestra. È stato soltanto uno show personale di Berlusconi, di fronte a presunti nemici. Eppure tanto è bastato per espellere dalla campagna elettorale ogni tema serio. L’Europa e il mondo guardano al voto italiano con preoccupazione, in attesa di sapere come una grande nazione pensa di salvarsi dalla bancarotta, e in Italia si dibatte se tizio o caio abbiano fatto migliore figura alla corrida televisiva quotidiana. I conduttori di talk show vanno a caccia delle clownerie di Berlusconi o di Grillo come gli impresari del circo inseguono la donna cannone, per vendere i biglietti. E purtroppo i giornali vanno loro dietro, in un continuo gioco al ribasso.
Ma una volta ammesse le nostre colpe, Bersani e il Pd dovrebbero riconoscere che se non fanno notizia è anche per propria incapacità . Alla vigilia del voto per le presidenziali, in Francia per settimane non s’è parlato d’altro che delle figura di Hollande e dei provvedimenti annunciati. Bersani e il Pd non riescono invece a occupare la scena, a inventarsi un modo per comunicare il programma e per restituire serietà  e concretezza al confronto politico. Finora hanno fatto da spettatori scettici alle trovate degli avversari, sicuri comunque di vincere. Magari troppo sicuri di vincere, com’è accaduto già  in passato. La creatività  politica del Pd e del suo leader pare essersi esaurita nel cammino verso le primarie. Nel confronto con Renzi, Bersani aveva messo in campo idee e progetti e finalmente un po’ di carisma. Il duello fra i candidati del centrosinistra sembrava perfino aver imposto un nuovo stile alla tele politica, con il successo del confronto all’americana. Il tono e i contenuti dello scontro si erano di conseguenza distaccati dall’anomalo carnevale elettorale all’italiana, per avvicinarsi alla norma delle grandi democrazie. A parte il tema populista della rottamazione, presto archiviato dopo i gesti simbolici di Veltroni e D’Alema, si era discusso di problemi veri: tasse, lavoro, politica industriale, diritti, riforme, laicità . Ma al pronti via, cominciata la vera campagna elettorale, il Pd e Bersani sono tornati nella nebbia dell’indefinito. Quali sono le ricette per rilanciare il Paese? Che cosa ci attende con Bersani a Palazzo Chigi dalla prossima primavera? Gli elettori non lo sanno e a questo punto non importa se per propria ignoranza o per inadeguatezza del Pd.
Le novità  interessanti con le quali il centrosinistra aveva caratterizzato la corsa delle primarie sono sparite e la scena è regredita ad arena per vecchi trucchi di anziani gladiatori. A guardare il teatrino televisivo quotidiano di un leader di settantasei anni, viene quasi da rimpiangere anche il tema della rottamazione. Ora, è possibile che tutto questo non provochi alla fine chissà  quali cataclismi elettorali. Per ora il margine di vantaggio del Pd e del centrosinistra, per quanto progressivamente erosi dal grigiore della campagna, rimane solido. Ma se vuole confermare i pronostici favorevoli, il Pd deve uscire dall’ombra, farsi venire qualche idea nuova e imprimere una svolta alla campagna. Nella nostra politica le anomalie non si contano. Ma non è mai successo, in Italia come altrove, che un soggetto politico incapace di imporsi al centro del dibattito elettorale vincesse poi alla conta dei voti.


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L’OCCASIONE MANCATA

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  NELL’ITALIA dei Berlusconi e dei Formigoni, nel Paese dei Belsito e dei Fiorito, una legge contro la corruzione che vede la luce quasi vent’anni dopo Tangentopoli è un evento storico. E Monti, che sulla legge ci mette la faccia e la firma, si assume per questo una responsabilità  rilevante. Dopo mesi di pretestuosa melina parlamentare, di inerzia «comprensibile ma non scusabile di alcune parti politiche», di trattative sopra e sotto il banco, il governo rompe gli indugi con il voto di fiducia al Senato, passato con un plebiscito bulgaro: 257 sì, e solo 7 no. Ci sarebbe da festeggiare. Ma la festa ha un gusto un po’ amaro.

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