Munizioni made in Teheran così l’Iran arma mezza Africa

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I PRIMI indizi sono emersi in quello che oggi è il Sudan meridionale. Nel corso di un’indagine sulle munizioni impiegate nel 2006 dalle forze governative e dalle milizie civili, un ricercatore britannico si è imbattuto in alcune cartucce per kalashnikov che non aveva mai visto prima di allora. Le munizioni non riportavano alcun codice, il che lasciava supporre che il loro produttore non desiderasse essere identificato. Nel giro di due anni altri ricercatori hanno scoperto che delle cartucce identiche erano state impiegate nei conflitti etnici del Darfur. Altre ancora sono state rinvenute nel 2009, all’interno di uno stadio di Conakry, nella Guinea, dove alcuni soldati avevano aperto il fuoco su dei protestanti antigovernativi, uccidendone più di centocinquanta.
Per sei anni un gruppo di ricercatori indipendenti, esperti nel traffico di armi, si è dato da fare per risalire all’origine delle misteriose cartucce. Basandosi sulle informazioni provenienti da quattro continenti, gli studiosi sapevano che da anni qualcuno convogliava di nascosto verso delle regioni del mondo che sono teatro di prolungati conflitti delle munizioni destinate a fucili e mitragliatrici. Unico scopo delle loro ricerche era quello di risolvere il mistero, non di puntare il dito contro una nazione in particolare. La svolta nelle indagini ha portato a una scoperta inaspettata. Il misterioso produttore non era uno dei “soliti sospetti” africani, bensì l’Iran.
Da anni, proprio mentre era scrupolosamente tenuto sotto controllo a causa del suo programma nucleare e del sostegno dato ai dittatori di tutto il Medioriente, l’Iran, tramite una rete di distribuzione clandestina, faceva arrivare le sue munizioni di produzione statale a una lunga lista di combattenti — compresi quelli situati in regioni sottoposte ad embargo degli armamenti da parte delle Nazioni Unite. Le indagini hanno fatto emergere la presenza di munizioni iraniane tra i ribelli della Costa d’Avorio, le truppe federali nella Repubblica Democratica del Congo, i Taliban dell’Afghanistan e gruppi affiliati con Al Qaeda nel Maghreb islamico e in Niger. Un traffico collegato a spettacolari esempi di violenza promossa dai governi e da gruppi armati collegati al terrorismo — il tutto senza richiamare molta attenzione, né permettere di risalire al Paese di produzione.
«Se qualche tempo fa mi avessero domandato quale ruolo avesse l’Iran nel contrabbando di munizioni per armi di piccole dimensioni all’interno dell’Africa, avrei risposto nulla di che», afferma James Bevan, ex ricercatore delle Nazioni Unite che da 2011 dirige I ricercatori che prendono parte alle indagini — il gruppo comprende diversi
esperti delle Nazioni Unite e un esperto di Amnesty International — hanno documentato la crescente distribuzione delle munizioni iraniane senza però tenere conto dei mezzi o delle entità  che hanno di fatto permesso la loro circolazione, e non sanno con certezza se a vendere le munizioni sia stato direttamente il governo iraniano, i suoi servizi segreti, una società  controllata da Teheran o dal suo esercito o ditte fittizie con sede all’estero.
Ma la fonte delle munizioni, rimasta a lungo misteriosa, appare ormai indiscutibile. Benché siano di fattura iraniana, potrebbero però non essere state inviate ai destinatari direttamente dall’Iran. «Quanto alle conseguenze, se si dimostrasse che Teheran ha ripetutamente violato la legge, credo che si potrebbe intervenire con maggior vigore», continua Bevan. «In buona parte, e forse nella maggioranza dei casi, però, a distribuire le munizioni all’interno dell’Africa sono stati gli Stati africani».
(©The New York Times La Repubblica Traduzione di Marzia Porta)


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