Pataxà³ da Jaqueira, ultimi dei Mohicani?

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PORTO SEGURO. Dal centro di Porto Seguro, nello stato di Bahia, parte la principale linea extraurbana di bus, la Santa Cruz-Cabrà lia, che, costeggiando la Praia di Toa-Toa, la spiaggia più alla moda dei baiani, fa capolinea dopo 45 minuti di viaggio a Coroa Vermelha, (Corona Rossa), così chiamata per via della barriera corallina che l’erosione del sole ha spaccato al centro, dandole l’aspetto di una enorme corona vista dall’alto.
Un po’ di storia del Nuovo Mondo
Su questa spiaggia sono sbarcate per la prima volta le caravelle portoghesi, capitanate da Pedro Cabral. Qui è stato scoperto e battezzato il Brasile. Pedro Alvares Cabral era un nobile, figlio del governatore di Beira e di Isabel De Queiròs, discendente del re Alfonso I del Portogallo. Questa referenza “di sangue” fece sì che il re allora sul trono, Manuele I, gli affidasse il comando della seconda spedizione portoghese verso le Indie, con il preciso incarico di stabilire relazioni commerciali e imporre la religione cristiana anche con le armi se fosse stato necessario. Raccomandazione superflua questa, per i conquistadores europei.
La flotta composta di dieci navi e tre caravelle, salpò dal porto di Lisbona il 9 marzo del 1500 e incontrò subito problemi nei pressi di Capo Verde,, dove uno dei capitani, Luis Pires, perse la prima nave a causa di una tempesta. Cabral ordinò di cambiare rotta puntando verso occidente, e la corrente dell’Atlantico spinse la flotta verso una terra sconosciuta; il 22 Aprile, l’equipaggio scorse una formazione montagnosa che battezzò Monte Pascoal, e il giorno successivo sbarcò sulle coste dell’attuale Brasile, attraccando in una baia che fu chiamata Porto Seguro, come buon auspicio per il resto del viaggio. Supponendo erroneamente di essere sbarcato su un’isola, la battezzò Ilha da Vera Cruz, ma in seguito corresse il nome in Terra da Vera Cruz.
In quel momento vivevano in Brasile 2000 tribù, circa un milione d’indios. Il nome assegnato caratterizza l’equivoco di allora, che portava a ritenere il Nuovo Mondo parte delle Indie Orientali, Colombo docet.
L’amore e non la guerra
Il povo (popolo) dei pataxà³, che è quello originale di Porto Seguro, ebbe il primo impatto con i “visi pallidi”; per un po’ invasori e invasi fecero l’amore, invece della guerra, i primi ingravidando le donne dei secondi, ponendo le basi per la nascita di una progenie meticcia che avrebbe conservato a lungo l’idioma originale. Purtroppo i rapporti idilliaci durarono poco; l’avidità  ebbe presto il sopravvento, soprattutto a causa del pregiato legno pau brasil, dal quale la nuova Nazione fu ribattezzata Brasil. Gli indigeni, tutti semi nomadi per vocazione, erano sempre vissuti di caccia, pesca e agricoltura, e ovviamente si opposero all’espropriazione della loro foresta.
I primi stermini avvennero a colpi di archibugio e cannoni, ai quali gli indios opponevano una resistenza risibile con archi e frecce. La scusa iniziale dei portoghesi per scatenare il massacro, fu quella dei riti pagani, cui faceva riferimento la pratica del cannibalismo della tribù Tupinamba. Però non furono solo le armi convenzionali a provocare il genocidio degli indios, bensì quelle “batteriologiche”, rappresentate dai bacilli del vaiolo, morbillo e influenza, ai quali gli indigeni non potevano opporre difese immunitarie; tante etnie furono sterminate così, senza neanche entrare a diretto contatto con l’uomo bianco, ma a causa della contaminazione portata dalle tribù nomadi che si ammalavano durante il percorso.
Il 3 maggio del 1500 Cabral lasciò il Brasile per proseguire la sua missione, perdendo però altre quattro navi, distrutte da una nuova tempesta che annientò anche gli equipaggi. La flotta superstite sbarcherà  poi in Mozambico e infine a Calicut, dove la prepotenza del navigatore entrò in collisione con i mercanti musulmani, ai quali Cabral distrusse i vascelli, uccidendo a uno a uno tutti i membri dell’equipaggio. Il ritorno del portoghese in patria, avvenuto il 23 giugno del 1501, non fu così trionfale come si potrebbe pensare, i suoi metodi e i suoi massacri furono criticati aspramente, e il re revocò i successivi mandati. Morirà  nel 1520, dimenticato da tutti, tranne coloro che erano stati spediti anzitempo al Creatore, e lo aspettavano con ansia dall’altra parte.
Ricambio di mano d’opera
Intanto i coloni portoghesi continuavano lo sfruttamento della nuova Terra, con invasioni e insediamenti chiamati bandeiras (bandiere), alla ricerca di oro e pietre preziose, e soprattuttotesi al la coltivazione della canna da zucchero, che richiedeva un continuo ricambio di mano d’opera. Ma gli indios si opposero fieramente alla schiavizzazione, e i massacri continuarono; i pataxà³ erano ridotti ai minimi termini, mentre le altre etnie si rifugiarono all’interno del Mato Grosso e della foresta amazzonica, in un territorio impenetrabile e ostile. Anche per i conquistadores, che presto furono costretti a rinunciare all’inseguimento e a importare nuovi schiavi dall’Africa. Solo nel 1755 la schiavitù degli indios fu dichiarata fuorilegge, mentre continuò quella dei neri africani. Dal 1840, lo sfruttamento dell’albero della gomma per l’estrazione del caucciù, porterà  a una nuova recrudescenza nei confronti delle etnie rimasti nelle città , e soprattutto Manaus sarà  teatro di questa nuova svolta.
Finalmente nel XX secolo, l’uso del telegrafo, i cui impianti disseminati nella giungla amazzonica furono affidati a Cà ndido Rondon, portò a una tregua nel rapporto con gli indigeni. Rondon era un meticcio, e fondò nel 1910 il Servià§o De Proteà§à£o aos Indios, opponendosi ai metodi violenti dei coloni e promuovendo la difesa della cultura indigena nei territori. Il Parco Nazionale Xingu, nello Stato di Mato Grosso, fu la prima riserva nazionale affidata agli indios. Lo Stato di Rondonia in Brasile è stato nominato così in onore di questo esploratore. Purtroppo alla sua morte i maltrattamenti verso le etnie ripresero, raggiungendo il culmine durante la dittatura militare del 1967, che rase al suolo migliaia di ettari di foresta, senza riguardo per le riserve assegnate, ai fini della costruzione dell’autostrada transamazzonica e lo scavo di bacini idroelettrici.
Oro, mercurio e tubercolosi
La scoperta di giacimenti d’oro negli anni ’80 e l’uso del mercurio per l’estrazione, inquinò i fiumi uccidendo i pesci, e le malattie portate dai minatori, malaria, influenza e tubercolosi, sterminarono lentamente oltre la metà  della tribù degli Yanomami; nel 1977 questi Indios erano circa 20.000, ma alla fine del secolo ne rimanevano poco più di 9000.
Dal 1988 la Costituzione brasiliana riconobbe alle etnie superstiti il possesso permanente delle terre assegnate come riserva, e nel 2000 i pataxà³ di Porto Seguro hanno avuto un loro ordinamento indipendente, con un Senato che promulga leggi ed emette sentenze. Che non sono certo lievi, come vedremo in seguito. Oggi l’etnia pataxà³ è ridotta a circa 2.000 individui, di cui solo 300 sul territorio originale, confinati nella riserva di Jaqueira, divisi in 32 famiglie, più un centinaio circa che vivono in una piccola comunità  a Coroa Vermelha. Gli altri sono sparsi lungo lo Stato di Bahia e il resto del territorio brasiliano, memori del nomadismo di origine. Trecento, come gli Spartani di Leonida alle Termopili. O volendo, come i 300 garibaldini della Spigolatrice di Sapri, dai versi di Luigi Mercantini che ci hanno perseguitato al ginnasio. Forse non così eroici, ma ugualmente determinati nella loro missione, che è quella di sopravvivere senza abiurare le proprie tradizioni.
I genocidi spagnoli e portoghesi han ridotto a soli 300.000 individui la rappresentanza indigena sopravvissuta nell’America Latina, da svariati milioni che erano nell’era precoloniale.
Splendide spiagge e cielo «nublado»
Porto Seguro oggi è una frenetica cittadina che esprime perfettamente il periodo d’oro che il Brasile sta vivendo; sita nello stato di Bahia a circa 700 km dalla capitale Salvador, conta circa 125.000 abitanti che praticamente raddoppiano con i turisti durante il periodo di alta stagione, che va da metà  dicembre alla fine di marzo. In questo periodo il tempo è splendido, mentre, durante tutto il resto dell’anno, il cielo rimane prevalentemente nublado cioè avvolto da una coltre di nuvole che spesso e volentieri sfoga in copiosi rovesci.
Quello che ne fa una delle mete più gettonate del Brasile, sono le splendide spiagge già  citate e soprattutto i prezzi abbordabili delle pousadas, i piccoli alberghi locali, che subiscono una riduzione di circa il 30% durante la bassa stagione. Lungo la Passarella Do Alcool che è la via pedonale che taglia il centro in due, così chiamata per la presenza di barracas che vendono cocktail alcolici a base di frutta, spiccano una miriade di negozietti di artigianato e souvenir, alternati a ristorantini che offrono comida baiana e anche italiana.
Il serpente umano che distende le sue spire specie durante la notte, rimanda alla memoria la Rimini degli anni ’80, o la Playa de Aro post-mondiale spagnolo, mete predilette allora degli europei. L’edilizia è mantenuta sotto regole rigide, con fabbricati che non possono andare oltre pianterreno e primo piano, evitando così gli obbrobri dei palazzoni stile grattacielo di Fortaleza e San Paolo.
I locali notturni sfoggiano lussi e spazi da capogiro, come Ilha Dos Aquarios, un’isola artificiale a pochi minuti di battello dal porto, che vanta la presenza di svariate discoteche, e praterie dove si esibiscono gruppi di samba, forrò e anche della trasgressiva musica axé baiana, una sorta di dancehall in stile giamaicano, che gronda sesso e rime a tema. Il tutto circondato da un enorme acquario a forma di anello che ospita le specie presenti nel mare brasiliano.
Solo lasciando il centro si comincia a respirare un’atmosfera diversa. A Coroa Vermelha sono presenti delle splendide sculture di legno che riproducono lo sbarco dei portoghesi, con gli indigeni che sfoggiano le acconciature ultimo grido della moda di allora, e i “civilizzatori” mentre erigono una croce, quella che imporranno poi sul groppone delle povere tribù. L’italiano Antonio Rizzo ne è l’artefice.
Qui vive anche una piccola comunità  di Indios che gestisce le barracas del mercato turistico. I pataxà³ superstiti svolgono principalmente due attività ; la vendita di oggetti di artigianato, soprattutto pettini, utensili e archi con frecce perfettamente funzionanti, lungo la spiaggia delle Corona Rossa, e quella più istruttiva che è la visita guidata nella foresta. Quando vado a trovarli nel villaggio, evito accuratamente gli orari più caldi e affollati dai turisti. Prendo un bus della linea Santa-Cruz/Cabrà lia e mi faccio lasciare sulla litoranea, a metà  strada tra Toa-Toa e Coroa Vermelha. Un cartello mi avverte che ci vogliono circa due chilometri per arrivare alla riserva di Jaqueira, dove vive la tribù. Un percorso accidentato per le auto, causa l’assenza di asfalto e la presenza di enormi buche causate dalle piogge di questi giorni. Ragion per la quale, gambe in spalla e pedalare. Quando arrivo ansimando sulla collina al cancello di entrata, mi accoglie un anziano a torso nudo e gonnellino di fibre di cocco: si chiama Muricì, è membro del Senato del villaggio, e ha l’incarico sia di svolgere le pratiche di ammissione, sia quello di scortarmi per il primo tratto del tour. Il piccolo Regno è guidato oggi da una donna, la regina Natina-uà .
Il Villaggio è costituito da una serie di capanne fatte di mattoni d’argilla impastata, con un tetto di fibre di cocco, la cui palma è chiamata piazzaba. All’interno un arredamento spartano, però prezioso ai nostri occhi, di legno di pau. Il banheiro (toilet) è una fossa biologica a circa 100 metri di distanza. Ogni capanna ne ha una a disposizione. Non ci sono visitatori tranne me, e la comunità  è silenziosamente intenta nella sua opera quotidiana; un ragazzo affila le punte delle frecce che poi userà  sia per la caccia, che per rifornire i negozietti per i turisti sulla spiaggia. Le donne cucinano, il terreno è pulitissimo, il lixo (immondizia) diviso in settori, l’organico viene interrato, il resto riciclato, da buona tradizione locale, un campo nel quale il Brasile detiene da tre anni il primato mondiale.
Danze a pagamento
Non rilevo alcun tentativo di scroccare denaro, attitudine spesso frequente, ad esempio, presso le tribù-zoo della Thailandia, e le classiche danze da comitato di ricevimento che caratterizzano l’attrazione di altre etnie presenti in Brasile, come i Dessama, colombiani del Rio Negro, avvengono solo su richiesta a pagamento. Il pezzo forte del tour è invece costituito dall’escursione nella foresta e la scoperta delle armadilhas, le trappole per catturare gli animali di cui si nutrono gli abitanti. Ancora oggi la caccia e la pesca costituiscono la maggiore forma di sostentamento per i pataxà³.
Un ragazzo di 15 anni, Txihì, malgrado la giovane età , è già  un maestro nella fabbricazione di trappole mortali. In una mata (foresta) frequentata da serpenti velenosi, come il surucucu, (termine scientifico Lachesis Muta) una vipera dal morso fatale, e il cobra coral (serpente corallo), Txihì procede tranquillamente a piedi nudi. La prima armadilha è una sorta di cappio nascosto nel fogliame che scatta al passaggio di uccelli galliformi, come pernici e tacchini selvatici, strangolando il malcapitato. Ma la preda più ambita quaggiù rimane il capibara, il più grande roditore vivente, che può raggiungere anche i 70 kg. E per questi ce ne sono di tutti i tipi: dalla classica trappola stile vietnamita, con buche scavate e ricoperte da grate fatte di frasche intrecciate, dotate di paletti acuminati che spuntano dal terreno, ad altre più ingegnose, con meccanismi a trazione che agiscono al passaggio dei roditori, stordendoli con una trave che cade dall’alto o rallentandone la fuga, per mezzo di enormi griglie di rami intrecciati, piazzate sui loro percorsi abituali. Malgrado ciò, il capibara brasiliano non è in via d’estinzione, sia per la prolificità  della specie che per la caccia limitata, praticata solo a fini nutritivi. La dinamica appare decisamente cruda, ma questa è la vita della foresta, così com’era una volta.
Un piccolo computer rosa
Ultima tappa del tour è la visita alla scuola locale; difatti per legge del senato, i primi rudimenti d’istruzione sono impartiti ai bambini nello stesso villaggio, fino all’età  elementare, in modo che possano assimilare e conservare alcuni elementi della lingua originale. Parole come joaninha (coccinella) che, come altri, sono termini popolari, campeggiano sui muri e la lavagna dell’aula, associati a disegni infantili. Così i bambini conservano la loro identità ; saranno poi indirizzati, in età  da scuola media, verso le strutture pubbliche. Quando entro, i bimbi sono indaffarati attorno a un piccolo laptop rosa, segno che anche qui nel cuore della foresta, tradizione e tecnologia, nelle giuste dosi, possono andare a braccetto.
Non fila sempre tutto liscio a questi Indios; nel 1950 un gruppo di “imprenditori” ha dato corso a una serie di aggressioni culminate con vari omicidi, allo scopo di sottrarre le terre ai loro legittimi proprietari e farne delle piantagioni di cacao; l’episodio più grave avvenne nel 1997, quando un gruppo di razzisti assassina a Brasilia il leader storico dell’etnia pataxà³, Hà -Hà – Hà es, Galdino Jesus Dos Santos, addormentatosi alla fermata dell’autobus che avrebbe dovuto portarlo alla conferenza sui diritti degli indios, indetta nella capitale in quei giorni.
In seguito a questo episodio, il governo decise nel 2000 di concedere all’etnia l’indipendenza dalla Costituzione Brasiliana, e il senato pataxà³ ne redisse una propria.
Giustizia sommaria o pettegolezzo?
Anche gli ultimi anni sono stati segnati da incidenti di percorso, nei quali si evidenziano segnali di razzismo e d’intolleranza mai sopiti del tutto nei confronti delle etnie a rischio; il più funesto è stato il 2008, durante cui furono assassinati 40 indios, tra Mato Grosso, Maranhà£o e Amazzonia; tra di loro una bambina di soli cinque anni. Nel 2010, durante la celebrazione de O dia do Indio, la prefettura di Belo Horizonte espulse la rappresentanza dei pataxà³, rea, a suo avviso, di turbolenze durante la cerimonia. In verità  fu un atto di pura intolleranza, biasimato ufficialmente dal Municipio di Porto Seguro. Per par condicio riporto una voce riferitami da fonti attendibili, tra le quali un italiano che lavora a Porto Seguro da diversi anni. Pare che due giovani, che facevano parte della comunità  di Coroa Vermelha, uccisero anni fa un uomo, cercando poi asilo presso la riserva di Jaqueira, dove risiedono la famiglia reale e il senato. Quando la polizia federale bussò alla loro porta, il re in persona si rifiutò di consegnare i presunti colpevoli, in base al trattato di cui gode l’etnia. Alcuni giorni dopo, secondo la mia fonte, i cadaveri dei due uomini furono ritrovati davanti alla soglia della prefettura di Porto Seguro. Un atto di giustizia sommaria, a tutela dell’indipendenza della comunità ? O solo un gossip? Non ho trovato riscontri a questo episodio presso le Autorità  del posto, né mi aspettavo di trovarne alcuno, in una cittadina che ha la sua entrata principale nel turismo.
E non sono riuscito a intervistare la Regina Natina-uà  che oggi è la leader del”Povo”.
Sebbene i pataxà³ svolgano un ruolo importante nel business del mercato turistico Baiano, dal quale comunque raccolgono solo briciole, sono sicuramente un etnia “politicamente scorretta”. È simbolico il fatto che ancora oggi Porto Seguro, dove il Brasile ha iniziato il suo percorso storico oltre cinque secoli fa, rappresenti i due volti della stessa nazione; il primo, di una civiltà  antica che, a costo di massacri e compromessi, cerca disperatamente di preservare se stessa. E l’altro, di un progreso inesorabile che non vuole, o non può, voltarsi indietro.
PORTO SEGURO
Dal centro di Porto Seguro, nello stato di Bahia, parte la principale linea extraurbana di bus, la Santa Cruz-Cabrà lia, che, costeggiando la Praia di Toa-Toa, la spiaggia più alla moda dei baiani, fa capolinea dopo 45 minuti di viaggio a Coroa Vermelha, (Corona Rossa), così chiamata per via della barriera corallina che l’erosione del sole ha spaccato al centro, dandole l’aspetto di una enorme corona vista dall’alto.
Un po’ di storia del Nuovo Mondo
Su questa spiaggia sono sbarcate per la prima volta le caravelle portoghesi, capitanate da Pedro Cabral. Qui è stato scoperto e battezzato il Brasile. Pedro Alvares Cabral era un nobile, figlio del governatore di Beira e di Isabel De Queiròs, discendente del re Alfonso I del Portogallo. Questa referenza “di sangue” fece sì che il re allora sul trono, Manuele I, gli affidasse il comando della seconda spedizione portoghese verso le Indie, con il preciso incarico di stabilire relazioni commerciali e imporre la religione cristiana anche con le armi se fosse stato necessario. Raccomandazione superflua questa, per i conquistadores europei.
La flotta composta di dieci navi e tre caravelle, salpò dal porto di Lisbona il 9 marzo del 1500 e incontrò subito problemi nei pressi di Capo Verde,, dove uno dei capitani, Luis Pires, perse la prima nave a causa di una tempesta. Cabral ordinò di cambiare rotta puntando verso occidente, e la corrente dell’Atlantico spinse la flotta verso una terra sconosciuta; il 22 Aprile, l’equipaggio scorse una formazione montagnosa che battezzò Monte Pascoal, e il giorno successivo sbarcò sulle coste dell’attuale Brasile, attraccando in una baia che fu chiamata Porto Seguro, come buon auspicio per il resto del viaggio. Supponendo erroneamente di essere sbarcato su un’isola, la battezzò Ilha da Vera Cruz, ma in seguito corresse il nome in Terra da Vera Cruz.
In quel momento vivevano in Brasile 2000 tribù, circa un milione d’indios. Il nome assegnato caratterizza l’equivoco di allora, che portava a ritenere il Nuovo Mondo parte delle Indie Orientali, Colombo docet.
L’amore e non la guerra
Il povo (popolo) dei pataxà³, che è quello originale di Porto Seguro, ebbe il primo impatto con i “visi pallidi”; per un po’ invasori e invasi fecero l’amore, invece della guerra, i primi ingravidando le donne dei secondi, ponendo le basi per la nascita di una progenie meticcia che avrebbe conservato a lungo l’idioma originale. Purtroppo i rapporti idilliaci durarono poco; l’avidità  ebbe presto il sopravvento, soprattutto a causa del pregiato legno pau brasil, dal quale la nuova Nazione fu ribattezzata Brasil. Gli indigeni, tutti semi nomadi per vocazione, erano sempre vissuti di caccia, pesca e agricoltura, e ovviamente si opposero all’espropriazione della loro foresta.
I primi stermini avvennero a colpi di archibugio e cannoni, ai quali gli indios opponevano una resistenza risibile con archi e frecce. La scusa iniziale dei portoghesi per scatenare il massacro, fu quella dei riti pagani, cui faceva riferimento la pratica del cannibalismo della tribù Tupinamba. Però non furono solo le armi convenzionali a provocare il genocidio degli indios, bensì quelle “batteriologiche”, rappresentate dai bacilli del vaiolo, morbillo e influenza, ai quali gli indigeni non potevano opporre difese immunitarie; tante etnie furono sterminate così, senza neanche entrare a diretto contatto con l’uomo bianco, ma a causa della contaminazione portata dalle tribù nomadi che si ammalavano durante il percorso.
Il 3 maggio del 1500 Cabral lasciò il Brasile per proseguire la sua missione, perdendo però altre quattro navi, distrutte da una nuova tempesta che annientò anche gli equipaggi. La flotta superstite sbarcherà  poi in Mozambico e infine a Calicut, dove la prepotenza del navigatore entrò in collisione con i mercanti musulmani, ai quali Cabral distrusse i vascelli, uccidendo a uno a uno tutti i membri dell’equipaggio. Il ritorno del portoghese in patria, avvenuto il 23 giugno del 1501, non fu così trionfale come si potrebbe pensare, i suoi metodi e i suoi massacri furono criticati aspramente, e il re revocò i successivi mandati. Morirà  nel 1520, dimenticato da tutti, tranne coloro che erano stati spediti anzitempo al Creatore, e lo aspettavano con ansia dall’altra parte.
Ricambio di mano d’opera
Intanto i coloni portoghesi continuavano lo sfruttamento della nuova Terra, con invasioni e insediamenti chiamati bandeiras (bandiere), alla ricerca di oro e pietre preziose, e soprattuttotesi al la coltivazione della canna da zucchero, che richiedeva un continuo ricambio di mano d’opera. Ma gli indios si opposero fieramente alla schiavizzazione, e i massacri continuarono; i pataxà³ erano ridotti ai minimi termini, mentre le altre etnie si rifugiarono all’interno del Mato Grosso e della foresta amazzonica, in un territorio impenetrabile e ostile. Anche per i conquistadores, che presto furono costretti a rinunciare all’inseguimento e a importare nuovi schiavi dall’Africa. Solo nel 1755 la schiavitù degli indios fu dichiarata fuorilegge, mentre continuò quella dei neri africani. Dal 1840, lo sfruttamento dell’albero della gomma per l’estrazione del caucciù, porterà  a una nuova recrudescenza nei confronti delle etnie rimasti nelle città , e soprattutto Manaus sarà  teatro di questa nuova svolta.
Finalmente nel XX secolo, l’uso del telegrafo, i cui impianti disseminati nella giungla amazzonica furono affidati a Cà ndido Rondon, portò a una tregua nel rapporto con gli indigeni. Rondon era un meticcio, e fondò nel 1910 il Servià§o De Proteà§à£o aos Indios, opponendosi ai metodi violenti dei coloni e promuovendo la difesa della cultura indigena nei territori. Il Parco Nazionale Xingu, nello Stato di Mato Grosso, fu la prima riserva nazionale affidata agli indios. Lo Stato di Rondonia in Brasile è stato nominato così in onore di questo esploratore. Purtroppo alla sua morte i maltrattamenti verso le etnie ripresero, raggiungendo il culmine durante la dittatura militare del 1967, che rase al suolo migliaia di ettari di foresta, senza riguardo per le riserve assegnate, ai fini della costruzione dell’autostrada transamazzonica e lo scavo di bacini idroelettrici.
Oro, mercurio e tubercolosi
La scoperta di giacimenti d’oro negli anni ’80 e l’uso del mercurio per l’estrazione, inquinò i fiumi uccidendo i pesci, e le malattie portate dai minatori, malaria, influenza e tubercolosi, sterminarono lentamente oltre la metà  della tribù degli Yanomami; nel 1977 questi Indios erano circa 20.000, ma alla fine del secolo ne rimanevano poco più di 9000.
Dal 1988 la Costituzione brasiliana riconobbe alle etnie superstiti il possesso permanente delle terre assegnate come riserva, e nel 2000 i pataxà³ di Porto Seguro hanno avuto un loro ordinamento indipendente, con un Senato che promulga leggi ed emette sentenze. Che non sono certo lievi, come vedremo in seguito. Oggi l’etnia pataxà³ è ridotta a circa 2.000 individui, di cui solo 300 sul territorio originale, confinati nella riserva di Jaqueira, divisi in 32 famiglie, più un centinaio circa che vivono in una piccola comunità  a Coroa Vermelha. Gli altri sono sparsi lungo lo Stato di Bahia e il resto del territorio brasiliano, memori del nomadismo di origine. Trecento, come gli Spartani di Leonida alle Termopili. O volendo, come i 300 garibaldini della Spigolatrice di Sapri, dai versi di Luigi Mercantini che ci hanno perseguitato al ginnasio. Forse non così eroici, ma ugualmente determinati nella loro missione, che è quella di sopravvivere senza abiurare le proprie tradizioni.
I genocidi spagnoli e portoghesi han ridotto a soli 300.000 individui la rappresentanza indigena sopravvissuta nell’America Latina, da svariati milioni che erano nell’era precoloniale.
Splendide spiagge e cielo «nublado»
Porto Seguro oggi è una frenetica cittadina che esprime perfettamente il periodo d’oro che il Brasile sta vivendo; sita nello stato di Bahia a circa 700 km dalla capitale Salvador, conta circa 125.000 abitanti che praticamente raddoppiano con i turisti durante il periodo di alta stagione, che va da metà  dicembre alla fine di marzo. In questo periodo il tempo è splendido, mentre, durante tutto il resto dell’anno, il cielo rimane prevalentemente nublado cioè avvolto da una coltre di nuvole che spesso e volentieri sfoga in copiosi rovesci.
Quello che ne fa una delle mete più gettonate del Brasile, sono le splendide spiagge già  citate e soprattutto i prezzi abbordabili delle pousadas, i piccoli alberghi locali, che subiscono una riduzione di circa il 30% durante la bassa stagione. Lungo la Passarella Do Alcool che è la via pedonale che taglia il centro in due, così chiamata per la presenza di barracas che vendono cocktail alcolici a base di frutta, spiccano una miriade di negozietti di artigianato e souvenir, alternati a ristorantini che offrono comida baiana e anche italiana.
Il serpente umano che distende le sue spire specie durante la notte, rimanda alla memoria la Rimini degli anni ’80, o la Playa de Aro post-mondiale spagnolo, mete predilette allora degli europei. L’edilizia è mantenuta sotto regole rigide, con fabbricati che non possono andare oltre pianterreno e primo piano, evitando così gli obbrobri dei palazzoni stile grattacielo di Fortaleza e San Paolo.
I locali notturni sfoggiano lussi e spazi da capogiro, come Ilha Dos Aquarios, un’isola artificiale a pochi minuti di battello dal porto, che vanta la presenza di svariate discoteche, e praterie dove si esibiscono gruppi di samba, forrò e anche della trasgressiva musica axé baiana, una sorta di dancehall in stile giamaicano, che gronda sesso e rime a tema. Il tutto circondato da un enorme acquario a forma di anello che ospita le specie presenti nel mare brasiliano.
Solo lasciando il centro si comincia a respirare un’atmosfera diversa. A Coroa Vermelha sono presenti delle splendide sculture di legno che riproducono lo sbarco dei portoghesi, con gli indigeni che sfoggiano le acconciature ultimo grido della moda di allora, e i “civilizzatori” mentre erigono una croce, quella che imporranno poi sul groppone delle povere tribù. L’italiano Antonio Rizzo ne è l’artefice.
Qui vive anche una piccola comunità  di Indios che gestisce le barracas del mercato turistico. I pataxà³ superstiti svolgono principalmente due attività ; la vendita di oggetti di artigianato, soprattutto pettini, utensili e archi con frecce perfettamente funzionanti, lungo la spiaggia delle Corona Rossa, e quella più istruttiva che è la visita guidata nella foresta. Quando vado a trovarli nel villaggio, evito accuratamente gli orari più caldi e affollati dai turisti. Prendo un bus della linea Santa-Cruz/Cabrà lia e mi faccio lasciare sulla litoranea, a metà  strada tra Toa-Toa e Coroa Vermelha. Un cartello mi avverte che ci vogliono circa due chilometri per arrivare alla riserva di Jaqueira, dove vive la tribù. Un percorso accidentato per le auto, causa l’assenza di asfalto e la presenza di enormi buche causate dalle piogge di questi giorni. Ragion per la quale, gambe in spalla e pedalare. Quando arrivo ansimando sulla collina al cancello di entrata, mi accoglie un anziano a torso nudo e gonnellino di fibre di cocco: si chiama Muricì, è membro del Senato del villaggio, e ha l’incarico sia di svolgere le pratiche di ammissione, sia quello di scortarmi per il primo tratto del tour. Il piccolo Regno è guidato oggi da una donna, la regina Natina-uà .
Il Villaggio è costituito da una serie di capanne fatte di mattoni d’argilla impastata, con un tetto di fibre di cocco, la cui palma è chiamata piazzaba. All’interno un arredamento spartano, però prezioso ai nostri occhi, di legno di pau. Il banheiro (toilet) è una fossa biologica a circa 100 metri di distanza. Ogni capanna ne ha una a disposizione. Non ci sono visitatori tranne me, e la comunità  è silenziosamente intenta nella sua opera quotidiana; un ragazzo affila le punte delle frecce che poi userà  sia per la caccia, che per rifornire i negozietti per i turisti sulla spiaggia. Le donne cucinano, il terreno è pulitissimo, il lixo (immondizia) diviso in settori, l’organico viene interrato, il resto riciclato, da buona tradizione locale, un campo nel quale il Brasile detiene da tre anni il primato mondiale.
Danze a pagamento
Non rilevo alcun tentativo di scroccare denaro, attitudine spesso frequente, ad esempio, presso le tribù-zoo della Thailandia, e le classiche danze da comitato di ricevimento che caratterizzano l’attrazione di altre etnie presenti in Brasile, come i Dessama, colombiani del Rio Negro, avvengono solo su richiesta a pagamento. Il pezzo forte del tour è invece costituito dall’escursione nella foresta e la scoperta delle armadilhas, le trappole per catturare gli animali di cui si nutrono gli abitanti. Ancora oggi la caccia e la pesca costituiscono la maggiore forma di sostentamento per i pataxà³.
Un ragazzo di 15 anni, Txihì, malgrado la giovane età , è già  un maestro nella fabbricazione di trappole mortali. In una mata (foresta) frequentata da serpenti velenosi, come il surucucu, (termine scientifico Lachesis Muta) una vipera dal morso fatale, e il cobra coral (serpente corallo), Txihì procede tranquillamente a piedi nudi. La prima armadilha è una sorta di cappio nascosto nel fogliame che scatta al passaggio di uccelli galliformi, come pernici e tacchini selvatici, strangolando il malcapitato. Ma la preda più ambita quaggiù rimane il capibara, il più grande roditore vivente, che può raggiungere anche i 70 kg. E per questi ce ne sono di tutti i tipi: dalla classica trappola stile vietnamita, con buche scavate e ricoperte da grate fatte di frasche intrecciate, dotate di paletti acuminati che spuntano dal terreno, ad altre più ingegnose, con meccanismi a trazione che agiscono al passaggio dei roditori, stordendoli con una trave che cade dall’alto o rallentandone la fuga, per mezzo di enormi griglie di rami intrecciati, piazzate sui loro percorsi abituali. Malgrado ciò, il capibara brasiliano non è in via d’estinzione, sia per la prolificità  della specie che per la caccia limitata, praticata solo a fini nutritivi. La dinamica appare decisamente cruda, ma questa è la vita della foresta, così com’era una volta.
Un piccolo computer rosa
Ultima tappa del tour è la visita alla scuola locale; difatti per legge del senato, i primi rudimenti d’istruzione sono impartiti ai bambini nello stesso villaggio, fino all’età  elementare, in modo che possano assimilare e conservare alcuni elementi della lingua originale. Parole come joaninha (coccinella) che, come altri, sono termini popolari, campeggiano sui muri e la lavagna dell’aula, associati a disegni infantili. Così i bambini conservano la loro identità ; saranno poi indirizzati, in età  da scuola media, verso le strutture pubbliche. Quando entro, i bimbi sono indaffarati attorno a un piccolo laptop rosa, segno che anche qui nel cuore della foresta, tradizione e tecnologia, nelle giuste dosi, possono andare a braccetto.
Non fila sempre tutto liscio a questi Indios; nel 1950 un gruppo di “imprenditori” ha dato corso a una serie di aggressioni culminate con vari omicidi, allo scopo di sottrarre le terre ai loro legittimi proprietari e farne delle piantagioni di cacao; l’episodio più grave avvenne nel 1997, quando un gruppo di razzisti assassina a Brasilia il leader storico dell’etnia pataxà³, Hà -Hà – Hà es, Galdino Jesus Dos Santos, addormentatosi alla fermata dell’autobus che avrebbe dovuto portarlo alla conferenza sui diritti degli indios, indetta nella capitale in quei giorni.
In seguito a questo episodio, il governo decise nel 2000 di concedere all’etnia l’indipendenza dalla Costituzione Brasiliana, e il senato pataxà³ ne redisse una propria.
Giustizia sommaria o pettegolezzo?
Anche gli ultimi anni sono stati segnati da incidenti di percorso, nei quali si evidenziano segnali di razzismo e d’intolleranza mai sopiti del tutto nei confronti delle etnie a rischio; il più funesto è stato il 2008, durante cui furono assassinati 40 indios, tra Mato Grosso, Maranhà£o e Amazzonia; tra di loro una bambina di soli cinque anni. Nel 2010, durante la celebrazione de O dia do Indio, la prefettura di Belo Horizonte espulse la rappresentanza dei pataxà³, rea, a suo avviso, di turbolenze durante la cerimonia. In verità  fu un atto di pura intolleranza, biasimato ufficialmente dal Municipio di Porto Seguro. Per par condicio riporto una voce riferitami da fonti attendibili, tra le quali un italiano che lavora a Porto Seguro da diversi anni. Pare che due giovani, che facevano parte della comunità  di Coroa Vermelha, uccisero anni fa un uomo, cercando poi asilo presso la riserva di Jaqueira, dove risiedono la famiglia reale e il senato. Quando la polizia federale bussò alla loro porta, il re in persona si rifiutò di consegnare i presunti colpevoli, in base al trattato di cui gode l’etnia. Alcuni giorni dopo, secondo la mia fonte, i cadaveri dei due uomini furono ritrovati davanti alla soglia della prefettura di Porto Seguro. Un atto di giustizia sommaria, a tutela dell’indipendenza della comunità ? O solo un gossip? Non ho trovato riscontri a questo episodio presso le Autorità  del posto, né mi aspettavo di trovarne alcuno, in una cittadina che ha la sua entrata principale nel turismo.
E non sono riuscito a intervistare la Regina Natina-uà  che oggi è la leader del”Povo”.
Sebbene i pataxà³ svolgano un ruolo importante nel business del mercato turistico Baiano, dal quale comunque raccolgono solo briciole, sono sicuramente un etnia “politicamente scorretta”. È simbolico il fatto che ancora oggi Porto Seguro, dove il Brasile ha iniziato il suo percorso storico oltre cinque secoli fa, rappresenti i due volti della stessa nazione; il primo, di una civiltà  antica che, a costo di massacri e compromessi, cerca disperatamente di preservare se stessa. E l’altro, di un progreso inesorabile che non vuole, o non può, voltarsi indietro.


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