Raid e bombe sul Mali «Bloccata l’avanzata dei jihadisti al Sud»

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PARIGI — La guerra in Mali entra nella fase 2. «Il primo obiettivo, fermare l’avanzata dei terroristi verso il Sud, è stato raggiunto. Oggi abbiamo cominciato a occuparci delle loro basi nel Nord», ha detto ieri il ministro degli Affari esteri Laurent Fabius.
L’intervento militare nell’ex colonia africana era partito male, venerdì scorso, con l’abbattimento di un elicottero e la morte del pilota. Al suo terzo giorno, l’operazione Serval raccoglie i primi successi, grazie ai bombardamenti aerei effettuati dai Rafale che partono dalle basi in Francia, e che possono arrivare sul teatro di guerra senza fare scalo grazie all’uso dello spazio aereo concesso dall’Algeria.
I Mirage e i Rafale francesi hanno bombardato Gao, che con Timbuctu e Kidal è una delle roccaforti dei jihadisti. La decisione del presidente algerino Bouteflika di concedere il sorvolo è importante dal punto di vista militare ma anche politico, perché va nella direzione — auspicata da Parigi — di un maggiore coinvolgimento dei Paesi africani. Il presidente Hollande aveva più volte ripetuto, nelle settimane scorse, che spettava ai Paesi dell’Africa il compito di formare la forza internazionale per combattere contro gli islamisti, ma quando questi si sono spinti a minacciare il Sud e la capitale Bamako, Parigi ha deciso di prendere subito l’iniziativa. «La mano del presidente Hollande non ha tremato — ha detto ieri ancora Fabius —, non c’erano grandi questioni metafisiche da porsi nel momento in cui Bamako poteva cadere nelle mani degli islamisti».
Eppure, qualche questione metafisica è stata sollevata ieri da Dominique de Villepin, l’ex primo ministro e ministro degli Esteri francese, l’uomo del celebre discorso all’Onu contro Colin Powell e la guerra in Iraq, che ieri è uscito dall’ombra per protestare contro «una missione dagli obiettivi poco chiari e dalle scarse possibilità  di riuscita».
«L’unanimismo dei favorevoli alla guerra, la precipitazione apparente, il déjà -vu degli argomenti della “guerra contro il terrorismo” mi inquietano — scrive Villepin sul Journal de Dimanche —. Com’è possibile che il virus neo-conservatore abbia potuto conquistare tutti?».
Il «neo-con Hollande» vuole evitare che tutto il Mali diventi un santuario per i terroristi di Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb islamico) che tengono prigionieri otto ostaggi francesi nel Sahel e che minacciano di commettere attentati in Europa.
La Gran Bretagna ieri ha assicurato un sostegno logistico, con due aerei militari che serviranno per il trasporto truppe ma che non parteciperanno direttamente ai combattimenti. In attesa di un possibile maggiore coinvolgimento dell’Unione europea, la Francia può contare sull’aiuto sul terreno di truppe dell’Ecowas (Comunità  economica dell’Africa occidentale): Benin, Burkina Faso, Togo, Niger, Senegal. Utili soprattutto in prospettiva, quando toccherà  a loro difendere i risultati ottenuti dalle forze francesi.
Il ministro Fabius parla di una missione militare che durerà  «settimane», e che si è rivelata più complicata del previsto. Una fonte dell’Eliseo ha detto ieri che ci si aspettava di avere di fronte nemici male equipaggiati, «dei balordi piazzati su Toyota con qualche mitragliatrice», mentre i jihadisti e i loro alleati tuareg sono bene addestrati e possono contare su materiale bellico sofisticato, trafugato dalla guerra di Libia.
L’obiettivo di fondo della guerra di Hollande è stato ripetuto ancora ieri: «Combattere il terrorismo». Quanto all’obiettivo militare, vedremo presto se i raid aerei di ieri puntano alla riconquista di tutto il Nord.


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