Tzipi esclude la sinistra
GERUSALEMME. Domenica sera Benyamin Netanyahu se n’è andato in discoteca a Tel Aviv, a festeggiare con i giovani del suo partito, il Likud, nelle stesse ore in cui la leader laburista Shelly Yechimovic e i dirigenti dei partiti centristi Yair Lapid di Yesh Atid e Tzipi Livni di Tnuah si riunivano per discutere della possibile formazione di un blocco politico in funzione anti-premier. Netanyahu faceva di tutto per mostrarsi sereno e a suo agio tra ragazzi di 18 – 19 anni, ma di tanto in tanto lanciava occhiate ai suoi assistenti, incaricati di aggiornarlo sull’andamento dei colloqui tra i suoi principali rivali. Con il listone Likud-Beitenu in calo da settimane nei sondaggi e l’emorragia (virtuale) di seggi a favore del partito nazionale-religioso HaBayit HaYehudi del carismatico israeliano-californiano Naftali Bennett, Netanyahu sa che c’è poco da scherzare. Un fronte unito del centrosinistra (definizione in verità piuttosto generosa), capace di raccogliere una quarantina di seggi, potrebbe complicare, e non di poco, i suoi sogni di riconferma alla guida del governo.
Per questo qualche ora prima di lanciarsi in pista in discoteca, il premier aveva colto l’occasione per sparare bordate all’opposizione. «La sinistra cerca di unirsi, mi vuole abbattere, non rifugge da alcun espediente», aveva denunciato per mobilitare i likudniks. Ha persino detto che la politica economica di laburisti e centristi porterebbe Israele in una situazione «simile a quella della Spagna e della Grecia» e, più di tutto, ha avvertito che i ritiri territoriali da loro sostenuti favorirebbero «l’ingresso di forze filo-iraniane» (nella Cisgiordania occupata). Come se Livni, Lapid e Yechimovich fossero dei «sovversivi» e non, come tutti li conoscono, dei classici sionisti con idee molto vicine alle sue sui temi centrali della politica estera e di sicurezza. Tanta preoccupazione per nulla, i suoi avversari si sono rivelati delle tigri di carta. Una volta arrivato a casa Netanyahu ha trovato ad attenderlo la notizia in cui sperava. Il vertice fra le tre liste di opposizione si è concluso con un nulla di fatto. I tre leader continuano ad avere approcci diversi di fronte alla vittoria elettorale della lista Likud-Beitenu. Livni vorrebbe imporre a Netanyahu, dopo il voto, di costituire un governo di unità nazionale senza i partiti ortodossi ed ultranazionalisti. Yehimovich ha un approccio più «radicale»: assumere la guida di un futuro governo oppure passare alla opposizione. Lapid tira a campare e, in realtà , si prepara a negoziare l’ingresso nella nuova coalizione, anche di destra estrema, con l’unica condizione dell’esclusione dei partiti ultraortodossi ma non di quelli ultranazionalisti come HaBayit Ha Yehudi, la futura terza forza alla Knesset che proclama di voler impedire la nascita di uno Stato palestinese e l’evacuazione anche di una sola colonia.
L’appello all’unità lanciato tre giorni fa da Livni è nato male, è stato partorito in ritardo (ad appena due settimane dal voto) ed è morto subito. Con la ben nota pregiudiziale: del fronte anti-Netanyahu non potranno far parte i partiti non sionisti, ossia i palestinesi di Israele (gli arabo- israeliani, il 20% della popolazione del paese). I tre litigiosi leader del centrosinistra hanno escluso i partiti arabi (Hadash-comunisti, Tajammo e Lista araba unita) che pure, secondo i sondaggi, dovrebbero conquistare 11-12 seggi su 120 alla Knesset. E hanno tenuto a distanza anche la sinistra sionista, il Meretz (4-5 seggi indicano i sondaggi), perchè ha proposto che Israele avvii un negoziato da Stato a Stato con la Palestina che lo scorso 29 novembre ha ottenuto all’Onu, con un voto a larghissima maggioranza, il riconoscimento di Stato osservatore. In ogni caso Livni, Yechimovich e Lapid non sono stati i primi e non saranno gli ultimi ad applicare quella pregiudiziale. Neppure durante i governi «pacifisti» di Yitzhak Rabin e Shimon Peres, nel periodo degli Accordi di Oslo (1993-94), fu consentito ai partiti arabi di far parte a tutti gli effetti della maggioranza.
Non sorprende perciò che sia caduto nel vuoto l’appello, parallelo a quello di Livni, a tutti i partiti di sinistra e di centro a mobilitarsi per sconfiggere la destra, lanciato dalla lista comunista Hadash. «Alle ultime elezioni legislative – ha detto il leader di Hadash Mohammad Barake – sono rimasti a casa 300 mila votanti arabi e 700 mila votanti ebrei, per lo più centristi o di sinistra. Se solo un quinto di loro andranno adesso a votare, è possibile abbattere Netanyahu». «Possiamo sbarrare la strada a Netanyahu – ha aggiunto il deputato comunista Dov Henin – a condizione che sappiamo infondere nell’elettorato arabo la speranza e la fiducia che sia possibile determinare la politica del nuovo governo». Parole che Livni, Lapid e Yechimovich neppure hanno ascoltato.
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