Una riforma che manda in pezzi l’unità  della sinistra

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Con la campagna «L’alternativa all’austerità  è possibile», la sinistra della sinistra vuole pesare sul dibattito che si apre in parlamento. «Abbasso l’odioso ricatto, quando ci viene detto: puntate sul fallimento – ha affermato Mélenchon – è il contrario, è perché rifiutiamo il fallimento che facciamo le nostre proposte. Abbiamo spezzato il circolo vizioso che voleva che approvassimo con il cappello in mano tutto quello che ci viene proposto». Il Front de Gauche, che fa valere a Hollande di aver contribuito alla sua elezione (pur non essendo nel governo), prepara una rivincita per le europee del 2014, in un clima generale che vede i francesi, secondo un sondaggio pubblicato su Le Monde di ieri, perdere fiducia nella politica, aver paura del declino del paese, chiudersi di fronte alle sfide della mondializzazione (economica e umana).
L’accordo sul lavoro è stato presentato dal governo come un passo avanti per arrivare a una socialdemocrazia alla francese. Impone la flexi-sicurezza, con maggiore flessibilità  però che sicurezza per i lavoratori, rendendo più facili i licenziamenti e legittimando accordi aziendali che permettono gelo dei salari, mobilità  imposta, modulazione degli orari a seconda della congiuntura economica. Il Front de Gauche chiede invece una legge che proibisca i «licenziamenti di Borsa», che dia il diritto di veto ai consigli di fabbrica sulle decisioni del consiglio di amministrazione, che tassi davvero il ricorso abusivo al precariato (non più del 5% dei dipendenti), mentre la penalità  prevista dall’accordo è molto più leggera. Il malessere si sente anche tra i deputati socialisti e i Verdi, che hanno due ministri nel governo Ayrault. «Il voto ecologista non è assicurato al Senato» ha affermato ieri il verde Vincent Placé. L’ala sinistra del Ps vuole dei «complementi» all’accordo Medef-Cfdt, per tradurlo in legge, in particolare garanzie in caso di cessione di siti redditizi, per lottare contro i licenziamenti di Borsa.
L’attualità  è molto pesante in questo periodo in Francia sul fronte del lavoro. Mercoledì, l’intersindacale di Florange ha portato all’Eliseo una petizione, con 31mila firme, per chiedere la nazionalizzazione temporanea del sito che la proprietà , ArcelorMittal, minaccia di chiudere. Il ministro del Rilancio produttivo, Arnaut Montebourg, che non ha potuto convincere il governo a favore della nazionalizzazione, è riuscito solo a strappare un accordo con la Mittal per evitare licenziamenti di massa. Molte altre industrie sono in crisi, da Petroplus all’alluminio di Saint-Jean de Maurienne, ora in mano alla Rio Tinto, passando per Alcatel-Lucent o Virgin. Dopo Peugeot, che ha previsto di chiudere l’impianto di Aulnay, ora è la volta di Renault, dove lo stato è presente nel capitale al 15%: dopo aver annunciato il taglio di 7500 posti di lavoro in Francia (su 44mila), adesso la casa automobilistica minaccia di chiudere due fabbriche di assemblaggio su sei, se i sindacati non accettano l’accordo di competitività  presentato dalla direzione. Si tratta della prima grossa prova del nove per l’accordo di competitività  difeso dal governo. Montebourg ha messo in guardia il pdg di Renault, Carlos Ghosn, perché eviti che la trattativa «si apparenti a un ricatto». Renault, oltre ai tagli di occupazione, vuole mobilità  tra siti del gruppo, aumento del tempo di lavoro (a 35 ore, ora spesso è più basso), ridurre certi costi fissi e gelare i salari almeno fino al 2015.


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