Uruguay, il presidente povero che vive nella sua casetta

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«Ho fatto tutto il possibile perché si veneri meno la presidenza — ha detto recentemente in un’intervista al New York Times —. Perché la democrazia funzioni bene i leader dovrebbero fare un passo indietro». Insomma un vero capo di Stato dovrebbe accontentarsi di quello che hanno gli altri cittadini, soprattutto quelli più poveri. Per questo Pepe, come lo chiamano tutti, devolve il 90% del suo salario (circa 9 mila euro al mese) ad associazioni benefiche. Con i 900 euro restanti, sostiene, lui e sua moglie Lucà­a Topolansky, anche lei una ex guerrigliera che oggi è senatrice, campano benissimo perché, dice parafrasando Seneca, «povero non è chi possiede poco ma chi desidera di più». Con buona pace dell’establishment che non si capacita di avere un presidente che se ne va in giro su un Maggiolino scassato, tiene vuoto il magnifico palazzo Suà¡rez y Reyes con i suoi 42 servitori e si ostina a ricevere personaggi influenti in quella che l’allora suo rivale nella corsa presidenziale Luis Alberto Lacalle definì una spelonca.
Che le sue decisioni siano popolari o no non sembra importargli. Si dice che dal 2010 ad oggi la popolarità  del presidente sia diminuita proprio a causa di alcune proposte controverse come quella di legalizzare la vendita della marijuana. «Me ne frego dei sondaggi — dice Mujica — altrimenti non avrei fatto il presidente». D’altra parte Pepe è sempre stato uno convinto delle sue idee. Prima di diventare un coltivatore di crisantemi negli anni 60 è stato un celebre guerrigliero tupamaro, attività  per la quale ha pagato un prezzo terribile durante la dittatura militare in Uruguay: quattordici anni di galera, buona parte in una cella lugubre sotto terra, e la minaccia quotidiana di venire ammazzato se i suoi compagni in libertà  avessero ripreso a combattere. Ma, come dice lui, «nella vita uno può sempre ricominciare». E così Pepe è diventato deputato nel ’94, senatore nel ’99 e ministro nel 2005 sempre come rappresentante del Fronte Ampio, la coalizione che dal 2004 ha la maggioranza dei voti. Gli uscieri del Parlamento ancora si ricordano di quando neodeputato voleva entrare nel garage con una vecchia moto sporca di fango.
Il presidente, insomma, è uno del popolo. Uno che capisce di agricoltura e allevamento, attività  che ancora costituiscono la base del piccolo Paese sudamericano, poco più tre milioni di abitanti. Il suo sogno? Pescare, curare le piante e sedersi all’ombra di un albero. Soltanto una volta, durante la campagna elettorale nel 2009, ha ceduto ai consigli dell’amico Lula, il presidente del Brasile, che gli diceva di cambiare look: «Dammi retta Pepe, mettiti una giacca. Non c’è niente di male. Ne ho perse tre di elezioni perché giravo in camicia, poi alla quarta ho vinto». Ma la cravatta no. Quella non l’ha mai messa.
Monica Ricci Sargentini


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