Bulgaria, la rivolta dei più poveri d’Europa

by Sergio Segio | 25 Febbraio 2013 7:58

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BERLINO — Decine, forse centinaia di migliaia di persone in piazza, cortei e comizi in quaranta città . Ovunque slogan contro i partiti, copie della Costituzione bruciate in strada. E pochi slogan, ma efficaci: «Basta con i monopoli», «Fuori i partiti, basta con la mafia del potere», «Basta con miseria e corruzione», «Diritto a una vita decente». Dimenticata dall’Europa da decenni, la Bulgaria, uno dei più giovani e il più povero tra i membri dell’Unione europea, arriva improvvisamente alla ribalta. Con la rivolta sociale contro il carovita e lo strapotere degli oligarchi d’ogni colore — successori degli apparatcik di ieri più filosovietici di Mosca — oggi padroni del postcomunismo. Il governo del conservatore Bojko Borissov è già  caduto, la crisi politica è aperta. L’esito delle elezioni anticipate — previste ad aprile o maggio — è più incerto che mai, e una nuova tempesta minaccia i Balcani e il sudest europeo già  carichi di tensione, dall’ex Jugoslavia divisa alla Grecia stritolata dal rigore.
La chiamano «la rivolta delle bollette della luce». Perché la scintilla dell’ondata di protesta è stato il brutale rincaro dell’elettricità . «I monopoli ci strangolano, basta con il sopruso e la rapina», gridano i manifestanti in ogni città : dalla capitale Sofia a Plovdiv, secondo centro del paese, da Sliven a Varna. I monopoli sotto tiro sono i gruppi CEZ e Energo- Pro, cèchi, e l’austriaco Evn: hanno il monopolio della distribuzione di elettricità  in gran parte del territorio. «L’ultima bolletta che abbiamo ricevuto », ha spiegato ieri la cinquantenne Mariana Rashkova, disoccupata, alla collega Vessela Sergieva della Afp, «ammontava a 400 leva (un leva vale 50 cents di euro, ndr), io sono a spasso e mio marito guadagna appena 700 leva al mese, e abbiamo mia mamma handicappata a carico». E quando il capo dello Stato, Rossen Plevneliev, si è affacciato dal palazzo tentando di calmare la gente, lo ha accolto una bordata oceanica di fischi.
Basta coi partiti, è il motto ovunque. Solo gruppi sociali di base e associazioni civiche guidano la protesta. Ovunque, le città  sono state paralizzate dalla rivolta, che era cominciata qualche giorno fa nella capitale con violenti scontri, e un dimostrante morto, ucciso dalle cariche della polizia. Borissov, al potere dal 2009, aveva voluto una cura da cavallo di sacrifici per il risanamento, tagli all’esiguo welfare, liberalizzazione: ha obbedito ai soliti dettami di rigore dell’Unione europea e delle sue potenze-guida. Travolto e sorpreso dalla rivolta di piazza, ha gettato la spugna. Tentando abilmente di strizzare l’occhio ai dimostranti col pensiero alle elezioni: «Basta, non voglio guidare un governo che affama la gente e le manda contro la polizia».
È dubbio che il suo gattopardismo basterà  a salvarlo. E non basta più ai bulgari il successo teorico del rigore: debito pubblico al 19,5 per cento del pil, disavanzo all’1,5 per cento, ma a costi sociali spaventosi. E sullo sfondo di una corruzione con pochi uguali. «Lavoravo all’amministrazione tributaria », dice alla Afp Nikolina Koleva, «mi hanno licenziata perché avevo tentato accertamenti sulle aziende in mano agli oligarchi». Riciclaggio del denaro, investimenti di comodo, povertà  e disastri ambientali: le accuse della piazza sono molte. Quasi una generazione dopo la fine del comunismo — caduto qui con un colpo di palazzo gorbacioviano, poi col passaggio trasformista degli oligarchi al sistema occidentale visto a modo loro — non basteranno né le svolte di Borissov, né i dettami di rigore di Bruxelles o Francoforte, a far tornare pace in Bulgaria.

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