Ci arriveremo: il rispetto non può essere a senso unico

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Non ne sono stupito.
Tutte le grandi mutazioni del costume nazionale hanno sempre diviso il Paese in due fronti, è successo con il divorzio, poi con l’aborto, non poteva essere diversamente oggi con la richiesta di omosessuali e lesbiche di essere considerati cittadini eguali agli altri secondo il dettato della Costituzione. Se ne è discusso troppo poco, giornali e tv, secondo l’antica regola del «si fa ma non si dice», negli ultimi decenni hanno preferito aggirare l’ostacolo ritenendo di avere assolto il compito di fare corretta informazione, dedicando spazio ad una rappresentazione della nostra sessualità /affettività  come se la nostra vita si svolgesse su un palcoscenico, e il nostro compito fosse quello di intrattenere gli spettatori. «Ho tanti amici gay, sono così divertenti», quante volte lo sentiamo dire da chi non si rende conto di pronunciare una frase offensiva. E a dirlo sono proprio quelli che mettono le mani avanti, respingendo con sdegno l’accusa di essere omofobi. Invece lo sono, arcivescovi, imam e rabbini (fra questi ultimi, pochi per fortuna, istruiti forse dalla grande liberalità  e rispetto che esiste in Israele nell’affrontare questi temi anche attraverso il sistema legale, è possibile, per esempio, l’adozione di figli da parte di gay, anche single), che confondono lo Stato con la fede. Sono stati proprio loro a dare delle famiglie con due papà  o due mamme una immagine caricaturale che esiste solo nei loro incubi, diffondendo paure nella pubblica opinione, esattamente come quando sostenevano che il divorzio avrebbe distrutto l’istituto famigliare, una menzogna che il tempo ha provveduto a smentire. Adesso ci siamo di nuovo: travolti da persistente omofobia, presi da paure irrazionali e quindi difficilmente spiegabili — si può spiegare l’odio verso una categoria di persone? — in nome della salvezza di una istituzione, vogliono obbligarci a vivere senza il diritto di poter fondare una famiglia e avere dei figli, dando della famiglia tradizionale un quadro di stabilità /amore purtroppo smentito dalle cronache di violenza profonda, come ci insegnano i telegiornali e la lettura dei giornali. Tirano in ballo Dio, qualunque nome gli si dia, quando nessuno ha mai chiesto di voler celebrare il matrimonio se non in forma civile. C’è poi chi, in assoluta malafede, ha previsto la scomparsa delle parole papà  e mamma, sostituite da genitore uno e genitore due, un altro modo terroristico per incutere, con una menzogna, paura verso un futuro nel quale saremo probabilmente tutti dei robot. Vorrebbero, in fondo, che noi vivessimo quelle «doppie vite» alle quali ci hanno costretti da sempre, convinti che quello è il massimo che possiamo pretendere. Il matrimonio e la possibilità  di procreare è oggi ciò che temono di più, perché vuol dire diventare uguali a loro. Nel bene e nel male, con eguali diritti e doveri. Per essere accettati dobbiamo rimanere diversi. Non lo accettiamo più. In tutto il mondo occidentale le leggi stanno cambiando a grande velocità , le battaglie di liberazione iniziate più di quarant’anni fa hanno contribuito a creare una nuova società , dove la parola «rispetto» non è più a senso unico. Paolo VI ci aveva rimproverato, in un tristemente famoso discorso tenuto a San Francisco, di avere una «sessualità  disordinata». Bene, perché allora oggi, che vogliamo una famiglia regolare, alla luce del sole, da mostrare ad amici, vicini di casa, alla portinaia, questa «normalità  ordinata» ci viene negata? Ci arriveremo, ne sono sicuro, anche grazie a chi ha capito, pur non essendo gay, che le battaglie di libertà  sono un patrimonio di tutti.
Fondò nel 1970 «Fuori!», la prima storica organizzazione degli omosessuali italiani


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