Ecuador, la terza volta di Rafael Correa
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Da ieri e fino a lunedì, proibizione assoluta di vendere e consumare alcolici, pena una multa di 159 dollari. In gioco, otto candidati. Fra questi, l’attuale capo di stato, il quarantanovenne Rafael Correa – economista di scuola europea e nordamericana, per quattro mesi ministro del passato governo di Alfredo Palacio -, che è al timone dal gennaio 2007. Per non andare al secondo turno – in aprile – l’attuale presidente deve ottenere almeno la metà dei voti validi più uno, o realizzare oltre il 40 % dei suffragi e una differenza di almeno 10 punti percentuali rispetto al secondo classificato. Tutti i sondaggi, conclusi il 5 febbraio e pubblicati per l’ultima volta il 7, lo danno favorito. Perfiles de Opinià³n ha intervistato, in 23 province (escluso Galà¡pagos), un campione di 8.050 persone tra i 16 e il 65 anni, di estrazione economica alta, media e bassa, residenti in ambito rurale o urbano. Il 75% aveva già deciso per chi votare, e il 62% aveva scelto Correa. Un’altra inchiesta è stata realizzata dal Centro de Investigaciones y Estudios Especializados nella prima settimana di gennaio su un campione di 420 famiglie nella capitale Quito, e di 460 a Guayaquil. A Quito, il 58,1% delle intenzioni di voto è andato ai parlamentari proposti dal movimento di Correa, Alianza Pais, graditi anche dal 46,5% a Guayaquil. In base ai sondaggi, il movimento di Correa ha ottime probabilità di avere una maggioranza parlamentare.
Di fronte, ha i candidati di un’opposizione alquanto frammentata, a destra come a sinistra. Il banchiere Guillermo Lasso, 57 anni, promette di stimolare «lo spirito imprenditoriale degli ecuadoregni». Corre per il movimento di centrodestra Creando Oportunidades (Creo), ha avuto funzioni dirigenti nel periodo della crisi bancaria (alla fine degli anni ’90) ed è stato ministro dell’Economia del presidente Jamil Mahuad, nel 1999. Secondo recenti rivelazioni della stampa, pare abbia contribuito con un finanziamento di 50.000 dollari alla prima campagna elettorale di Correa, nel 2006.
Gli ultimi sondaggi lo davano al 9%, seguito dall’ex presidente Lucio Gutiérrez, al 4%. Scalzato dalle proteste di piazza nel 2005, Gutiérrez, 55 anni, corre per il Partido Sociedad Patrià³tica. Al 2% delle intenzioni di voto, il sessantatreenne Alvaro Noboa, l’imprenditore milionario del Partido Renovador Institucional de Accià³n Nacional che controlla oltre 110 aziende nel suo paese e in diversi altri. È la quinta volta che prova a conseguire la presidenza. Dovrebbe fermarsi all’1% Mauricio Rodas, 37 anni, candidato con qualche esperienza internazionale, che corre per la formazione Suma. Stesso score è previsto per il pastore evangelico cinquantadueenne Nelson Zavala, del Partido Roldosista Ecuatoriano: un’interfaccia dell’ex presidente Abdalà¡ Bucaram, che da quasi 16 anni risiede a Panama, perché inseguito da un mandato di cattura. All’1% si fermerebbe anche un candidato di sinistra, Norman Wray, 43 anni, attivista per i diritti civili e nelle reti sociali, fondatore del movimento Ruptura Cattolico osservante, ex seminarista di scuola europea e nordamericana, l’attuale capo di stato è nuovamente favorito nella competizione elettorale. Ma una parte dei settori sociali che lo hanno sostenuto gli hanno tolto il consenso (del 2004).
Nei primi anni di governo ha appoggiato Correa ed è stato eletto deputato, ma ha rotto nel 2011 denunciando episodi di corruzione e autoritarismo. Fra i suoi candidati al Parlamento, c’è anche una giovane transessuale, Diane Rodriguez. L’altro candidato di sinistra, l’economista e intellettuale Alberto Acosta, 64 anni, nei sondaggi arriva al 3%. E x presidente dell’Assemblea costituente (che ha portato alla costituzione vigente dal 2008), ex ministro dell’Energia e fondatore con Correa del movimento Alianza Paàs, è sostenuto da una coalizione di forze di sinistra (tra i quali la Confederacià³n de Nacionalidades Indàgenas de Ecuador – Conaie -), denominata Unidad Plurinacional de las Izquierdas. Accusa il suo ex alleato di essere solo fintamente di sinistra, e di voler consegnare ai potentati economici la «revolucion ciudadana». Sette anni fa, Correa fu portato al governo al culmine di un lungo ciclo di lotte popolari contro le politiche neoliberiste, che hanno visto una straordinaria partecipazione dei popoli indigeni (il 30% della popolazione).
Cattolico osservante, ex missionario seminarista, da allora ha consolidato il suo prestigio internazionale, configurandosi come una delle leve di un’America latina sempre più progressista e indipendente dagli antichi ricatti internazionali: rinegoziando il debito, rifiutando di continuare a concedere basi militari agli Usa, rifiutando l’Accordo di libero commercio di Bush per partecipare all’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America ideata da Cuba e Venezuela. Sul piano interno, vanta un paese in crescita e i risultati evidenti delle sue politiche sociali: riduzione della povertà , aumento dell’istruzione e dell’inclusione… Ha perso, però, anche l’appoggio di importanti settori, soprattutto indigeni, che lo avevano appoggiato all’inizio, che vorrebbero andare più in fretta e che lo accusano di aver smarrito la strada.
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